venerdì 9 luglio 2010

Heineken Jammin Festival 2010, 3-4 Luglio. (Parte seconda)



“VuuuuuuuUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUuuuuuuu!”

Veniamo svegliati così all’alba del secondo giorno. Il cervello connette a fatica e per un secondo penso che sia una vuvuzela – che diavolo ci faccio in Sud Africa? – salvo poi rendermi conto che l’assordante frastuono altro non era che un aereo in partenza, a poca distanza dalla nostra tenda. Dovrò farla insonorizzare, dannazione.
Ci si ripiglia a fatica da una dormita alquanto scomoda, ci facciamo una toelettatura rapida, si inghiottono due o tre gocciole per colazione e via di nuovo in marcia, questa volta automuniti, verso il Parco San Giuliano. Il consueto panico di Lukish fa si che si finisca con parcheggiare la Punto in uno dei parcheggi più distanti dal Parco, praticamente a 2 km dall’ingresso, ma evidentemente non avevo fatto i conti con le capacità sensitive del buon Trovati: il parcheggio scelto infatti ha la grandissima qualità di fornire una pavimentazione in asfalto, vantaggio che verso fine della giornata si sarebbe rivelato essere determinante rispetto ad altre locazioni “fangose.
Piazziamo dunque la macchina al sicuro e ci incamminiamo di buona lena verso l’ingresso prima dell’orario di apertura dei cancelli, speranzosi di non aver troppa folla davanti e riuscire ad accalappiare i braccialetti per accedere alla vasca durante tutto il giorno in comodità. Per chi avesse dei dubbi, con vasca non intendo uno strumento utile per l’igiene corporea, bensì un’area chiusa davanti al palco nella quale si può entrare ed uscire a piacimento avendo sempre il posto in prima fila garantito.
Arriviamo dunque ai cancelli dell’HJF e ci mettiamo pazientemente in coda (che non sembra eccessiva), chiacchierando amabilmente con dei ragazzi di Rovigno; entriamo e ci dirigiamo con solerzia verso il Main Stage per cercare di ottenere una coppia di quei dannati pass, ed è qua che affrontiamo la vera coda: quasi due ore davanti al palco sotto il sole cocente, ammassati come le bestie; i buttafuori dicono che non ci sono più bracciali ma nessuno crede ad una parola di quello che dicono visto che la vasca è mezza vuota, così stiamo lì come delle lucertole al sole, con la sola differenza che alle lucertole piace mentre noi ci stiamo letteralmente rosolando sotto un caldo peggiore di quello del giorno precedente. Ad un certo punto, impietositi, i buttafuori lanciano alcune bottigliette d’acqua alla folla spazientita per lenire la sete; a me non basta e chiedo delle angurie ma dopo che il primo lancio colpisce un ragazzo causandogli un grave trauma cranico il lancio dei cocomeri viene interrotto.
In ogni caso, la situazione non si smuove così dopo un po’ io e Lukish ci scazziamo di stare in coda per i bracciali e troviamo una nicchia discretamente vicina al palco dove mettersi e pazientare l’inizio dei concerti, attendendo l’arrivo di Grana e Sandro.
Ah già, Grana e Sandro! Me n’ero quasi scordato!
I due partono da Cremona solo per la giornata di domenica, come accennato nel precedente post. Per cui, volenterosi, scelgono la via più impervia per raggiungere Mestre: i trasporti pubblici. Vi faccio un sunto di quanto mi è stato riferito da loro:

- Partono ad un orario imprecisato da Cremona col treno diretti a Brescia;
- Cambiano e prendono il treno regionale per Venezia;
- Arrivano quasi in orario alla stazione di Mestre;
- Attendono per quasi due ore una navetta che li porti a Parco San Giuliano;
- Arrivate le navette, vengono assaltate manco la diligenza nel Far West ed in due secondi si riempiono. Presi dal panico, i due si fiondano sulla prima che trovano, senza sapere dove li porterà;
- Grana e Sandro approdano a Venezia;
- Grana si fa fotografare di fianco ad una imprecisata chiesa di Venezia:
- I due prendono un taxi e finalmente arrivano all’HJF, all’alba del’una.

Finalmente arrivati i due tasselli mancanti, i 4 giovani baldi si riuniscono e iniziano a godersi il festival.
Si fa qualche foto di rito e due passi qua e là; io e Lukish veniamo fermati da due strapone palesemente innamorate di noi che vogliono farsi immortalare con due giovani esemplari di maschio cremonese. Scopriamo poi che era per una campagna di sensibilizzazione contro la droga … truffatrici! Grana nel frattempo si trasforma in un muratore 35enne di Catanzaro in pausa pranzo, mentre sorseggia del gelato/sorbetto al caffè.
Torniamo nella nostra nicchia in attesa dell’inizio dei concerti e, quando il primo gruppo (di cui non ricordo nemmeno il nome) inizia a suonare, scatta il Vezzo Show. Mi sento debole tutto d’un tratto, non faccio in tempo a dire a Lukish “Mi gira la testa” che –bum! – finisco per terra a peso morto, svenuto! Lukish mi afferra la testa e continua ad urlare “Vezz! Vezz! Vezz!” con una frequenza di 7 “Vezz” al secondo. Io appena mi ripiglio, me ne esco con un pacifico “Eh?!”, come a dire “Che cazzo ti urli?!?”. Vengo portato via dalla Croce Rossa, efficientissima, reintegrato di sali minerali con una bella flebo di fisiologica e via, di nuovo in pista. Nel mentre però lascio i ragazzi un po’ scossi e spaventati per l’accaduto, ma soprattutto faccio avverare inavvertitamente la profezia dello sciamano-gufo del pullman: “Sverrai alle ore 3e10 della domenica pomeriggio!”. Il dannato bastardo ha imbroccato la prima delle sue profezie malefiche: beh, meglio io che svengo di quello che dovrà partorire con dolore durante i Black Eyed Peas.
Comunque, un po’ traballante ma ristabilito torno dai ragazzi mentre stanno suonando i Bastard Sons Of Dioniso, bravini e capaci di lasciarmi una buona impressione nonostante i forti pregiudizi che avevo sul loro conto. A questo punto sembra chiaro a tutti che il colpo di sole ha lasciato degli strascichi nella mia capacità di intendere e di volere e mentre mi vengono fatti test per valutare i danni al cervello arriva Fave che si unisce al gruppo. Dopo i Bastardi, è il turno dei Rise Against: super esibizione, carichi ed esplosivi come pochi (li associo ai Billy Talent per questa caratteristica), trascinano la gente per l’intera durata del concerto facendo scordare a tutti il gran caldo opprimente. Dopo di loro tocca agli Editors; uno smaronamento notevole da parte del gruppo britannico che pur mostrandosi capaci di suonare e produrre buona musica, hanno il grosso difetto di presentare pezzi troppo simili fra di loro, sfoggiando di conseguenza un'unica litania lunga un ora. Nel mentre ci raggiunge anche Casa, e si forma dunque quel bel gruppetto di persone che di lì e poco avrebbe assaporato l’ebrezza di prendersi 200mm d’acqua sulla testa per un oretta buona.
Finiscono gli Editors e mentre i 30 Seconds To Mars si preparano all’esibizione, ci rendiamo conto di una minacciosa nube che si avvicina rapidamente, come se caricasse a testa bassa verso il palco dell’HJF. Casa cerca di metterci in guardia – “Dove suonano gli Editors piove sempre” – ma ovviamente è presto per preoccuparsi, anche se nell’arco del live dei 30 Seconds, la nuvola si avvicina sempre di più ed assume sfumature mano a mano più terrificanti: prima un grigino “ti spruzzo d’acqua e ti rinfresco un po’”; poi un grigio più intenso, del tipo “becchi un po’ d’acqua stasera, ragazzo”; infine un nero modello “Morte Nera”, alias “Ma come, non hai portato con te l’arca di Noè?”. Sull’esibizione del gruppo poco da dire, onestamente: lontani dai generi che apprezzo, sono comunque bravi a cercare di tenere su di morale un pubblico sempre più depresso e conscio dell’imminente acquazzone. Assistiamo anche ad un grazioso siparietto con 3 o 4 persone che salgono su a far casino durante una canzone, fra i quali c’è anche Trè Cool (sarà l’unico membro dei Green Day visto quella sera).
Mentre viene eseguito l’ultimo pezzo dei 30 Seconds e Lukish ha assunto l'incredibile somiglianza con una Big Babol per via dell'abbronzatura, le cose si mettono male. Il vento sferza con raffiche forti, le luci sul palco ballano non poco e gli strumenti già pronti dei Green Day vengono coperti alla belle meglio. Le prime gocce, gelate, iniziano a cadere ma la cosa è sopportabile e noi, vicini al palco, non vogliamo mollare la posizione. Poi il temporale inizia a far sul serio e lì sono cazzi. Lo sciamano azzecca pure la seconda profezia.
Scatta il fuggi fuggi generale, e nel mezzo del casino, sotto l’acqua battente, ci separiamo in due gruppi (io, Casa e Sandro da una parte, Lukish, Grana e Fave dall’altra). Noi tre, dopo vari zigzag qua e là alla ricerca di un rifugio, troviamo riparo sotto un telo cerato a copertura laterale di uno stand, che di conseguenza bisogna a turno tenere alzato per starci sotto. Durante la corsa ne ho viste d’ogni: gente sotto i camion, sotto i tavoli, sotto i bidoni del rudo. Mentre siamo “al riparo” (le virgolette, vista la quantità d’acqua, sono d’obbligo), assisto a scene ancora migliori, tipo gente che si infila sotto ombrelloni chiusi e rimane in piedi incastrata lì. I più temerari cercano di raggiungere l’uscita del parco (ricordo, distante un km dall’area centrale del festival) e qui la gente si sbizzarrisce. C’è chi corre all’impazzata cercando di schivare il muro d’acqua che cade dal cielo, chi avanza sostenendo un ombrellone gigante tipo testuggine romana (saranno stati almeno in trenta sotto!), chi tenta versioni più leggere della testuggine con tavoli sostenuti da 6-8 persone e modelli ancora più lite, con 3 persone che se la viaggiano con una panca sopra la testa. Non ho visto i Green Day ma certe scene memorabili hanno lenito l’incazzatura.
Il resto della storia è cosa da poco. Raggiungiamo la macchina zuppi, mentre fuori la protezione civile distribuisce bevande calde e coperte termiche (si parla di cali di temperatura di 10-12 gradi nell’arco di due ore), e ce ne torniamo a casa un po’ mesti.
Si conclude così il secondo giorno, e lo chiudo citando Lukish per etichettare al meglio questa maledetta domenica: “Forse è il giorno più strano della mia vita”.

martedì 6 luglio 2010

Heineken Jammin Festival 2010, 3-4 Luglio. (Parte prima)



Mi piace sempre aprire i miei post con una parola o una frase che focalizzi immediatamente il lettore sull’argomento. Quest’anno per definire l’Heineken Jammin Festival, il termine sicuramente più adatto è “prova di resistenza”; una gara di sopravvivenza per tutti e quattro i baldi giovani che tempo fa decisero di intraprendere questa avventura. Una sfida dunque: per me e Lukish, che ci siamo fatti una due giorni intensa al Parco San Giuliano di Mestre; per Grana e Sandro, che seppur messi alla prova solo domenica, hanno dovuto vedersela con i sempre efficienti trasporti pubblici italiani.
Ma andiamo per ordine e soprattutto senza fretta. Mettetevi comodi che di cose ne sono successe in questi due giorni e, come ha ben detto Lukish, è una storia che val la pena di essere raccontata ed ascoltata. E’ giusto informarvi inoltre che mi prenderò qualche libertà per condire con un pizzico di ironia il racconto e meglio intrattenere chi leggerà. Buona lettura allora!
Dunque, inizia tutto alle 7 del mattino di sabato 3 luglio; ovviamente già a quell’ora un caldo opprimente strozza il fiato in gola alla gente ma in confronto a quello che avremmo dovuto sorbirci poi si potevano paragonare quelle temperatura ad una mite giornata primaverile. Pronti e via, la Punto ingombra di tenda, sacchi a pelo, materassini, cambi ma soprattutto litri e litri di bevande: una cosa dall’ultimo HJF io e Lukish l’abbiamo imparata.
Viaggio in autostrada tranquillo, non fosse per la variabile pulotti che prima ci superano sulla destra guardandoci in cagnesco, poi fanno cenno a me di accostare e pensano bene di ispezionare per bene la macchina manco fossimo degli spacciatori. Controllo documenti per entrambi, pure per me che ero il passeggero: se fossi stato rumeno anziché italiano era un problema? Chiudiamo pure qua la polemica.
Arriviamo in perfetto orario al campeggio Forte Bazzera e mentre montiamo la tenda possiamo ammirare lo splendido panorama degli aerei disposti uno in fila a quell’altro a 200 metri da noi. Ce ne andiamo dal campeggio verso il Parco fiduciosi, o meglio dire, illusi che quegli aerei non saranno un problema.
Siamo a qualche kilometro dall’HJF per cui prendiamo un autobus che ci porti a destinazione … l’avessimo mai fatto! Perché è lì, a mio avviso, che ce la siamo tirata addosso. La sfiga dico. A bordo del mezzo pubblico infatti ci accoglie un signore sulla sessantina, a prima vista molto ameno e simpatico, ma che si rivela poi essere un gufo pazzesco, roba che neanche i telecronisti RAI riuscirebbero ad emulare una simile quantità di malocchio. Dopo averci chiesto se eravamo diretti al Festival parte con una tirata sul fatto che la zona è predisposta al maltempo, che la tromba d’aria di tre anni fa era una cosa annunciata e certa (tutti gli articoli a riguardo smentiscono questa cosa) e che con il caldo previsto per il weekend la probabilità di un'altra tromba d’aria e/o temporali era elevatissima. Mentre fa la filippica fa capire implicitamente che noi poveri stronzi che andiamo all’HJF ce lo meritiamo il maltempo. Chiude annunciando sarei svenuto alle ore 3e10 della domenica pomeriggio e comunicando ad un altro ragazzo che avrebbe partorito con dolore al terzo giorno, durante l’esibizione dei Black Eyed Peas. Le strizzate di testicoli si sprecano per lenire la gufata.
Lasciamo lo sciamano della sventura alle sue maledizioni e finalmente entriamo nel Parco San Giuliano. L’atmosfera del festival è la stessa di due anni fa, accogliente e gioviale. Stand con musica, giochi, intrattenimento vario; campetti di basket, calcetto e pallavolo; neanche un cazzo di albero decente dove ripararsi un po’ dal sole; il solito HJF, insomma.
Il primo giorno corre via liscio, fra una passeggiata qua e là, un pisolo e tanta tanta acqua ingerita per combattere il caldo africano. Arriva così in men che non si dica il momento di sentire i gruppi musicali, oserei dire la vera ragione per cui si viene all’HJF.
Partono i Le Carte, uno dei gruppi che ha vinto il contest 2010, e inaugurano il festival alla grande: energici e per nulla intimoriti dal pubblico già abbastanza folto, sfoggiano un ottima prestazione e si meritato i parecchi applausi che gli vengono tributati. Cantano in italiano con testi belli ed orecchiabili, e con un apprezzabile accostamento fra la voce ruvida del cantante e la voce femminile (della batterista), il tutto miscelato da una influenza grunge. Dopo di loro salgono sul palco di Plan De Fuga; anche per loro un ottima performance, molto carichi e con canzoni che spingono. Chiudono il terzetto di gruppi italiani i La Fame Di Camilla, partiti forse un po’ in sordina ma poi usciti fuori alla grande, soprattutto per merito della splendida voce del cantante. Vi consiglio di cercare qualcosa sul web su tutte e tre le band perché meritano.
Arriva poi il momento dei pezzi da 90. Prima gli Stereophonics, davvero molto bravi dal vivo e con parecchie canzoni nel repertorio orecchiabili o comunque già sentite parecchio in giro (Have A Nice Day e A Thousand Trees su tutte). Poi viene il turno dei Cranberries, anche loro meritevoli di essere ascoltati anche se lontani dai generi che piacciono a noi; la loro unica pecca è la mancanza di personalità nel gruppo che come giustamente a fatto notare Luca è rappresentato praticamente solo dalla cantante Dolores O'Riordan.
Quando finiscono i Cranberries ci allontaniamo per rifiatare un po’, mangiare un panino e posizionarci in una zona più tranquilla dove goderci il Main Event. Nel mentre le zanzare ci assediano e lo spettro dello svenimento gufato dallo sciamano del pullman incombe sul sottoscritto a tal punto che mi vedo costretto ad elemosinare dell’Autan ad una MILF 35enne, sfegatatamente interista a tal punto che prima di concedermi l’anti-zanzare vuole appurare che io tifi una squadra accettabile. E’ palesemente una fuori di testa, con un bel fisico però e soprattutto con l’Autan. “Sampdoria”, gli rispondo, e lei si mette a saltare entusiasta al grido di “Pazziniiiiii” e mi concede il tanto bramato spray. Di fianco a lei scopro la presenza di un ragazzo di Bergamo, tale Giancarlo, anche lui arrivato lì prima di me per elemosinare l’Autan e pure lui promosso a pieni voti perché doriano come me. Incredibili i casi della vita! Sto tizio qua poi si rivela essere davvero simpatico, chiacchieriamo un bel po’ prima e durante il concerto ed infine, lasciandomi il suo numero di cellulare, mi invita ad iscrivermi al Sampdoria Club di Bergamo per andare a fare qualche trasferta con loro. Nel mentre la MILF saltella qua e là sfoggiando un seno palesemente rifatto e distraendo tutti i maschi nell’arco di 50 metri dalla visione del concerto. Ancora non ho capito se era contenta per il concerto o per la triplete dell’Inter … mah!
Ma spendiamo due parole per il piatto forte della giornata, gli Aerosmith. La prima cosa che mi viene in mente è: mamma mia! Incredibile la presenza sul palco di questi sessantenni eternamente giovani, esempio perfetto delle rockstar senza tempo. Tengono lo show come se avessero 30 anni in meno e la splendida voce di Steve Tyler fa a gara con i virtuosismi di Joe Perry alla chitarra e Joey Kramer alla batteria. Le canzoni vengono eseguite come se uscissero dai dischi incisi in studio ed, inutile a dirsi, ci ascoltiamo 2 ore di classici del rock scolpiti nella storia del genere. A mio avviso, splendide Jaded, Cry e I Don’t Wanna Miss A Thing, per non parlare di Pink e Rag Doll.
Finisco pure gli Aerosmith e finisce la prima giornata. Ci dirigiamo un po’ provati verso l’uscita ma tutto sommato in condizioni decenti, se non fosse per uno strato di 1cm di sudore e sudiciume vario da scrostarsi appena arrivati al campeggio. Fuori dal parco le navette aspettano per portarci ognuno per la sua strada, ovviamente senza un cazzo di cartello o indicazione utile a chi deve prenderle, queste stramaledette navette. Chiedo ad un vigile qual’è quella che conduce a Forte Bazzera e lui, gentilissimo, si limita a correggermi la pronuncia ma non mi indica il pullman giusto: tu, mio caro vigile, chiunque tu sia, sei un grandissimo coglione. Te lo dico col cuore in mano (e se potessi con un bastone nel tuo deretano).
In un modo o nell’altro arriviamo al campeggio, ci laviamo via il rudo di dosso, ci facciamo dissanguare ancora un po’ dalle zanzare e, teneramente stretti in una tenda microscopica, io e Lukish ci prepariamo ad una romantica notte di campeggio.
E venne così la fine del primo giorno.

lunedì 17 maggio 2010

Regressione a bambino



Apro questo intervento con le mani che corrono sulla tastiera scorrendola come un pianoforte alla ricerca di un ispirazione, di un incipit da seguire per farsi trascinare come da un fiume di parole, e sorrido pensando a quanto è strana la vita (banalità delle banalità!) che mi fa regredire -nella mente- al livello di un bambino che soffre e si entusiasma per delle sciocchezze ma che nel suo contesto sono l'essenza di tutto ciò che per cui vale la pena di vivere. Non parlo delle sciocchezza ma di ciò che scatenano, è ovvio: dei sogni.
Trovo che sia giusto sorridere per una cosa del genere; vuol dire che si sa ancora ironizzare su se stessi ma soprattutto si è in grado di ammettere che certe volte tornare bambini è la cosa più bella del mondo e non c'è nulla da vergognarsi nel volerlo fare.
Ieri allo stadio di Genova, il Luigi Ferraris, informalmente Marassi (dal nome del quartiere che occupa), ha visto la regressione di tante, tante persone venute ad inseguire un sogno. Pensate, 37mila persone per un unico sogno! Ma un sogno la potrà mai contenere tutta questa gente?
In mezzo a questa folla, un paio di cremonesi: uno adottato dal mondo dello spettacolo, cullato e bistrattato allo stesso tempo da un universo che lo ha accolto quasi per caso ma che ha avuto il buon cuore di donargli molte soddisfazioni; l'altro invece più acerbo, agli inizi della sua avventura da adulto nel vero senso del termine ma proprio per questo ancora indeciso se levare quel piede dalla porta dell'esser fanciullo e spensierato.
I due hanno un legame di sangue che li lega, ma non è quello che conta per loro. Quello che importa davvero è il rispetto che reciprocamente provano l'uno per l'altro, soprattutto il più giovane che un pò venera il più grande. E poi, ad unirli ulteriormente, c'è il motivo della loro regressione allo stadio di bambino, ossia una squadra di calcio. Ebbene si, una squadra di calcio, quello sport malato, corrotto ed infangato quotidianamente dalle infamie dei suoi stessi protagonisti che però non smette mai di emozionare chi purtroppo è stato toccato dai suoi tentacoli e che -ahimè- soffre e gioisce in eterno come un condannato dei gironi danteschi.
Li lega una squadra che i suoi tifosi se li sceglie bene e li vuole pronti ad amarla incondizionatamente, e proprio per questo li mette alla prova di continuo fra alti e bassi che metterebbero knockout anche il più navigato dei lunatici pronti a repentini cambi d'umore: gioia e tristezza, esaltazione e delusione, paradiso ed inferno.
Questa squadra questa stagione ha fatto proprio così, per non smentirsi. E' partita forte, fortissimo, come mai negli ultimi anni ed ha fatto palpitare all'unisono migliaia di cuori, compresi quelli dei due cremonesi. Poi s'è appannata ed è iniziato un periodo buio in un tunnel nero che sembrava non avere mai fine; l'ha fatto perchè è una squadra sorniona, scherza con l'animo della sua gente che farebbe follie per lei solo per vedere quanto sono disposti a sopportare i suoi seguaci. Infine, soddisfatta dello scherzo furbastro ed abbandonati i miscredenti, è partita per una galoppata verso la fine del campionato, verso il triplice fischio del 16 maggio. Una corsa così veloce e così intensa che a fatica i suoi tifosi riuscivano a vederla.
E così, dopo questa pazza sgroppata, ha rallentato alle porte di Genova per permettere ai cuori che tanto l'amano di raccogliersi a Marassi ed assistere all'ultimo sforzo, ad incitarla e sostenerla nell'ultima fatica per inseguire un sogno comune a migliaia di persone.
I due cremonesi erano là pure loro perchè al cuor non si comanda, si dice. E come tutti allo stadio regrediscono. Certo, inveiscono forse un poco più di un bambino, che usa il "mannaggia" anzichè la bestemmia e sicuramente non insulta un giocatore solo perchè ha osato spaventarli più del dovuto, ma il gioco è anche quello.
E quando un Re Pazzo incorna il pallone e porge il sogno in mano alla gente, allora ci si alza in piedi, si salta, si urla e ci si strattona, e chissenefrega se si è in tribuna stampa e ci vuole contegno, al cuor non si comanda, l'ho già detto!
Finito tutto di svegliarsi dal sogno non c'è verso. Non perchè ci si aggrappa agli ultimi strascichi del sonno come alla coperta quando d'inverno fa freddo, ma perchè il sogno è lì anche quando si hanno gli occhi aperti. Il sogno è realtà.





Sampdoria in Champions League. Grazie ragazzi ma soprattutto grazie Claudio.

lunedì 26 aprile 2010

54



Che ci fanno su un'isola della costa croata l'attore anglo-americano Cary Grant ed un giovane bolognese con il rammarico di non aver mai vissuto un giorno da partigiano?
Sembrerebbe una domanda strana, eppure c'è un libro che sa la risposta, anche se inventata: il primo, in missione per la Military Intelligence britannica, scappa inseguito da dei loschi individui incaricati di rapirlo per conto della Mosca comunista di Kruscev, intenzionata a sua volta a fare un dispetto al troppo indipendente governo rosso di Tito. Il secondo, il Bolognese, ha venduto la propria coscienza alla piccola criminalità per pagarsi un viaggio lungo ed illegale alla ricerca del padre che non vede da troppo tempo, il padre partigiano considerato un criminale in Italia per aver salvato degli innocenti dalla follia fascista ed unitosi al sogno socialista della Jugoslavia, poi tradito dallo stesso Tito. E' poi lo stesso padre che salva Cary Grant allontanando i loschi individui a colpi di schioppettate fin troppo precise.
Fosse tutto qua, 54.
E' anche una donna che s'è venduta inconsapevolmente per salvare dalla miseria il fratello malato di mente, e che crede di essere innamorata del giovane amante che invece non sa che fare della propria vita e finisce col conoscere Cary Grant su di un isola croata.
E' un ex-partigiano che dimenticato dal Partito finisce con il darsi al traffico di merci illegali e che in un parcheggio appena oltre il confine francese finisce ammazzato per un ricordo di scontri lontani contro camicie nere.
E' uno scagnozzo che sogna di liberarsi dal giogo del suo Boss e finisce col nascondere 3kg di eroina nel posto più sbagliato che possa esistere: un televisore americano nuovo di zecca che fa gola a tutti.
E' mille altre cose che si uniscono formando un unica incredibile storia internazionale, che si svolge fra Bologna, Napoli, Trieste, Cannes, Marsiglia, Mosca, e tanti altri luoghi ancora.
54 è un intreccio magnifico, che si legge tutto d'un fiato; è anche un bellissimo pezzo di storia italiana del dopoguerra, istruttivo ed interessante.
Al pari di Q, capolavoro dei sempre più sorprendenti Wu Ming. Da leggere.

lunedì 19 aprile 2010

Novità in arretrato


Di novità nell'ultimo periodo ce ne sono state, ed io come al solito rimango indietro nell'aggiornare il blog. Beh, di scadenze ne avrò fin troppe fra non molto tempo (si capirà in seguito meglio questa affermazione) quindi non vedo perchè angustiarmi con tempi ed altri vincoli irritanti. Ora il tempo c'è, dunque aggiorniamo.
Si interrompe dopo due anni il mio contrastato rapporto di lavoro con l'azienda ospedaliera e, più in generale, il fantastico mondo del pubblico. Difficile fare un bilancio, un esperienza positiva e negativa al tempo stesso, che forse ha avuto la sola colpa di perdere lo smalto iniziale mano a mano che le magagne del pubblico saltavano fuori. C'è chi continuerà a darmi del cretino fra se e se per la mia scelta, azzardata e rischiosa, forse io stesso lo farò un giorno, ma per ora sono contento così, davvero. "Il pubblico è la morte del lavoratore", ho sentito dire da una persona che per trent'anni c'è marcita dentro.
Giusto una settimana in Toscana con la mia dolce metà e famiglia per tirare il fiato e via con il nuovo lavoro. E qui si che le novità diventano di spicco. Si passa dal gestire e cooperare con i consulenti esterni rappresentando il cliente ad essere io stesso un consulente, il venditore. Si passa da un impiego con scadenze praticamente inesistenti ad un lavoro in cui le scadenze sono tutto, sono l'essenza del tempo che scandisce l'attività (da qui la mia frase in introduzione). Passo anche ad impiegare un ora e mezza per raggiungere la postazione, contro i 10 minuti del vecchio ruolo. C'est la vie!
Per ora tutto bene. Ufficio bello, colleghi simpatici, vita da pendolare sopportabile. Mi rimangerò tutto, lo so, ma per ora va bene così. Sono gasato, moderatamente (pur sempre di un lavoro si tratta). C'est la vie, anche in questo caso.

mercoledì 24 marzo 2010

Il Prodigioso Spaghetto Volante


La settimana scorsa, vuoi per la vittoria mistica del Doria contro i gobbacci, vuoi per due chiacchiere fatte con amici dall'animo smarrito nei meandri troppo complicati della religione, mi sono ricordato della mia fede che da un pò trascuravo, il Pastafarianesimo.
Per carità, il Prodigioso Spaghetto Volante (d'ora in poi PSV), summus ducis del credo Pastafariano, è una divinità buona e tollerante; le sue Pappardellose Appendici sono sempre pronte ad accarezzare un fedele devoto sporcandolo di ragù, anche se da lungo tempo non dedicava un pensiero a Lui. Mi sembra giusto però scrivere due righe riguardo il Pastafariano Credo, raccogliendo un pò di informazioni qua e là su internet per glorificare il PSV e per andare a caccia di nuovi adepti alla vera fede!
Cosa vuol dire essere Pastafariano? Ironicamente, vuol dire credere di non credere, riponendo la propria fede in un entità invisibile ed intangibile, il PSV appunto, capace di spiegare tutte le teorie evolutive ma non in grado di confutarle con prove tangibili. Quindi, una religione vera e propria.
Con un esempio (tratto dalla bibbia pastafariana, Il Libro Sacro Del Prodigioso Spaghetto Volante) si può facilmente confutare la presenza di un mostro spaghettoso che veglia su tutti noi: è noto a tutti i pastafariani che il PSV tocca con le sue Pappardellose Appendici i suoi fedeli per dimostrare l'amore per il suo gregge. Questa verità è dimostrata, non è solo un atto di fede incondizionata! Pensateci bene, nel passato l'altezza media dell'uomo era più bassa rispetto ai giorni odierni: questo perchè il PSV riusciva a toccare più spesso gli uomini (che erano minori in numero). Al giorno d'oggi invece, con l'aumento esponenziale della popolazione mondiale, il PSV riesce a toccarci con meno frequenza, ed inevitabilmente l'uomo s'è alzato di statura. Semplice no?
Capite bene da soli dunque che questa è la sola ed unica religione che non cozza con la scienza (ho detto cozza? ebbene si, il PSV adora anche gli spaghetti allo scoglio). Se non vi è bastato questo esempio, tutta la Bibbia Pastafariana è infarcita di dimostrazioni per aiutarci a comprendere che, finalmente, misticismo ed evoluzione possono convivere in un sincero rispetto, senza dover porre l'uomo al centro di un amletico dubbio.
Vi riporto ora un elenco di link utili per informarvi e convertirvi. Ricordatevi, dimostrare la propria fede ogni giorno è semplice: basta una bella spaghettata al ragù ed il PSV saprà di essere sempre nei vostri cuori!


1) http://it.wikipedia.org/wiki/Pastafarianesimo
Wikipedia parla del più famoso Mostro di Spaghetti del mondo!
2) http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Pastafarianesimo
La pagina più seria riguardo al Pastafarianesimo, su Nonciclopedia.
3) http://spaghettovolante.wordpress.com/
Un interessantissimo blog, da seguire se si è fedeli DOC!
4) http://www.venganza.org/
La pagina ufficiale della Religione Pastafariana.
5) L'invisibile unicorno rosa
Altra teoria religiosa simile al Pastafarianesimo


Per i più fedeli e devoti, ecco qua una chicca: La Natività


Ramen fratelli!

lunedì 22 marzo 2010

Nuovo lavoro


Massì, raduniamo un pò di ciarpame in un unico post, tanto per scrivere qualcosina e spammare pure qua, in uno spazio che rispettando il buonsenso dovrebbe essere tenuto esente dallo spam. Ma lo spam è l'essenza del vivere dolce, si sa, e dunque spammiamo!
Sono un poeta. Dello spam.
Dunque, il lunedì comincia benissimo dopo la vittoria del Doria ai danni dei Gobbacci: uno a zero ed a casa. Pure di lusso per la Giuventus sto risultato, visto che Chimenti, papera su Cassano a parte, ha fatto tre o quattro parate difficili. Ah già, ha segnato proprio Cassano, lo stesso giocatore che il gobbaccio Lippi si ostina a non convocare in Nazionale. Goduria allo stato puro, anzi, come direbbe Jerry Calà: Libidine... Doppia Libidine... Libidine coi fiocchi!!
Tornando indietro temporalmente, la settimana scorsa è arrivato l'agognato contratto per il nuovo lavoro e dunque fra poco meno di un mesetto inizierà la mia nuova esperienza presso DiXtreme, l'azienda dove tutt'ora lavora Sandro. Molti mi chiedono i motivi del mio abbandono dell'attuale posto di lavoro, ma trovarne uno su tutti è difficile ... in linea di massima sono alla ricerca di nuovi stimoli, frase che può sembrare un pò new age ma in fin dei conti è la sacrosanta verità.
Qua cosa lascio? La comodità, la (futura) sicurezza di un posto nel pubblico, alcuni colleghi che sicuramente mi mancheranno, altri senza dubbio no. Di là troverò un contratto migliore sia dal punto di vista remunerativo sia dal punto di vista umano, ed un ottimo amico a supportarmi (soprattutto nella fase iniziale); spero di trovare anche un buon ambiente e nuovi stimoli. Nuova città, in parte nuova vita forse. Insomma, una bella svolta. Parafrasando un famoso film/libro ... io speriamo che me la cavo!

giovedì 11 marzo 2010

Wolfman, Invictus, Shutter Island: cinematografo a gògò


Con la visione di Shutter Island, ieri sera, si conclude la piccola serie di uscite cinematografiche che ho macinato negli ultimi sette giorni: The Wolfman di Benicio del Toro e Anthony Hopkins, Invictus con l'ottimo trio Eastwood-Freeman-Damon e, appunto, Shutter Island dell'ormai rodata coppia Scorsese-Di Caprio.
Un periodo denso di ottimi film almeno sulla carta, visto gli attori ed i registi in campo, che mi hanno portato a dover selezionare alcuni ed escluderne altri sicuramente interessanti come Alice In Wonderland di Burton, pur tenendo la manica larga (tre film in sette giorni mi pare comunque un margine di tolleranza più che buono).
Dato che la qualità dei film è stata alta, e le aspettative sono state perlopiù rispettate, butto giù una breve recensione per ciascuno dei tre che spero potrà essere utile a chi è intenzionato a vedersi del buon cinema.
Rispettando un ordine puramente cronologico di visione, il primo della lista è The Wolfman. Premetto subito che, del trio, è stato probabilmente il più deludente ma confido che questo termine non venga travisato. The Wolfman a mio avviso si tratta comunque di un discreto film in cui forse, più che soffermarsi esclusivamente sulla trama e l'intreccio (nel finale oggettivamente un pò povero) chiede allo spettatore di focalizzarsi su altri dettagli: le ambientazioni e la fotografia, ben fatte, coinvolgenti, con scenari cupi che inglobano il film calzando a pennello con la storia, grigie come l'animo del protagonista, nere come la maledizione che lo colpisce; la recitazione, soffermarsi sull'abilità di Del Toro ed Hopkins mi pare superfluo; il trucco, dove il realismo del mannaro valgono le quattro ore di makeup che Benicio doveva sorbirsi ogni giorno per cercare una fisicità nel volto che gli effetti speciali probabilmente non avrebbero saputo regalare. Insomma tutti dettagli, ricercati nel voler restare più vicini possibile alla famosa pellicola del 1941, che meritano di esser visti; se dovessi dare un voto, un 7 sarebbe onesto.
Proseguendo è il turno di Invictus, il film su cui avevo più aspettative in assoluto dato il cast impressionante ed la curiosità per un pezzo di storia moderna di cui conosco poco e niente. E le aspettative, fortunatamente, non sono state deluse. Per chi non avesse idea della trama, si tratta sostanzialmente della storia dei primi mesi di presidenza di Mandela in Sud Africa dopo la caduta dell'apartheid; pressato dal partito sulle urgenze di un governo ancora giovane ed inesperto, Mandela sembra invece dare più importanza al livellamento degli inevitabili odi interrazziali e per farlo decide di dare un ruolo centrale alla Nazionale di Rugby, gli Springboks, storicamente simbolo del potere bianco. La squadra e Mandela riusciranno nei loro intenti di unire la nazione senza considerare il colore della pelle, per merito di contatti con la popolazione atti a far conoscere il rugby ed un campionato mondiale inaspettatamente vinto grazie ad un impresa sugli "invincibili" All Blacks.
Eastwood come regista m'è sempre piaciuto nonostante quella vena cinica che permea sempre le sue pellicole; vedere per una volta un happy ending fa senza dubbio piacere (d'altronde è storia) e Eastwood si muove bene anche in questa situazione regalando emozioni e commozione a più riprese nel film. Morgan Freeman è incredibile, perfetto in una parte che cercava da anni e per cui, addirittura, lo stesso Mandela lo aveva eletto come candidato perfetto per interpretarlo. Bravo anche Matt Damon nel dare profondità all'attore non protagonista, non facendosi sovrastare dall'abilità di Freeman.
Nel complesso dunque regia magistrale ed attori fenomenali, ma soprattutto uno bel messaggio contro il razzismo, contro la sua insensatezza e la stupidità che lo genera. Voto 9, senza dubbio meritato.
Ultimo di questa carrellata di recensioni è Shutter Island. Sono andato a vederlo con sentimenti contrastanti: da un parte ero molto curioso di rivedere al lavoro la premiata ditta Scorsese-Di Caprio ed il trailer mi aveva ben disposto; per contro avevo già raccolto qualche testimonianza sul film non esattamente entusiasmante, pareri si positivi ma comunque tiepidi. Dopo la visione, mi sento invece di affermare che Shutter Island è un'ottima pellicola. Cervellotica, contorta, ansiosa a tratti, non da punti di riferimento certi sebbene mano a mano che avanzano i minuti le informazioni sono sempre più numerose. La storia prosegue ma nulla è mai certo per cui ognuno fa le sue supposizioni, solo alla fine si scopre la verità, toccante almeno quanto è inquietante.
Scorsese dirige bene anche se questa volta non è magistrale come in The Departed, Di Caprio invece regala un'interpretazione davvero notevole, a conferma del fatto che da qualche film a questa parte si può definire tranquillamente un gran attore (per me il punto di svolta è stato Blood Diamond).
Nel complesso, un film consigliabile a chiunque. Trae forse in inganno il trailer, che può far pensare ad un thriller da "salto sulla poltrona" mentre è più corretto definirlo come psicologico. Comunque da vedere, voto 8.

lunedì 8 marzo 2010

Il Nome della Rosa


L'altra sera prima di dormire pensavo che ultimamente scrivo poco. Facebook e la sua capacità di riassumere tutto con un messaggio in bacheca ha tirato fuori la persona sintetica che era in me. Un mio (rincoglionito) professore delle medie diceva che era dovuto al fatto che giocavo tanto con i videogames. Non so se fosse vero o se fosse una cazzata, resta comunque un dato certo che scrivo poco.
Questo blog poi non è mai decollato come avrei voluto. Da una parte ha poca visibilità, dall'altra parte io non mi sono sforzato molto di dargliela. E oltretutto scrivere così raramente non invoglia certo un passante a diventare un lettore abitudinario.
Quindi ho deciso di cambiare un pò l'impostazione del blog stesso: non sarà più, come è sempre stato per tradizione, un diario della mia vita, ma avranno più spazio anche recensioni di libri, pareri su film, notizie divertenti o interessanti, insomma diventerà a tutti gli effetti uno spazio dove parlare, un pò a casaccio, di tutto e di niente.

Il primo post di questa nuova "era" lo dedico per coincidenza fortunosa ma sicuramente propizia ad un libro, un gran libro: Il Nome della Rosa di Eco.

Avendo a disposizione la grande fortuna di poterlo leggere da novizio, come Adso, la mente mai contaminata da pellicola cinematografica, il libro è stato sicuramente una piacevolissima sorpresa. Sorpresa perchè è senza dubbio gradevole scoprire che al giorno d'oggi, in tempi relativamente moderni, possano esistere ancora autori così bravi da amalgamare, in una trama perfetta, precisione nei dettagli con un contesto "poliziesco" quanto mai avvolgente inserito in una realtà storico-politica descritta, nelle sue caratteristiche più peculiari (e dunque talvolta più assurde!), in maniera magistrale.
Eco è bravissimo, come se ne vanta egli stesso (più o meno inconsciamente) nell'appendice finale di contorno al libro, a rendere popolare un libro che in realtà tanto di massa non è visto, come accennavo prima, quanto è stato curato nei dettagli. Citazioni in latino, riferimenti a passi biblici ed a filoni ideologici in commento alla Bibbia (esemplare il dibattito sul riso fra Baskerville e Jorge) riempono ogni spazio fra l'intreccio della trama, con una sequela di assassinii che non può che rendere sempre più curioso il lettore. Ed è qui che viene il bello: mentre un abbazia viene decimata da misteriose morti, il mondo costruito da Eco certe volte sembra fermarsi per osservare processi e scontri verbali su ricchezza dei papisti, povertà dei francescani (o dei minoriti), eretici e visionari. Praticamente un saggio sulla cristianità del XIV secolo, inserita in un romanzo giallo. O forse viceversa?

venerdì 29 gennaio 2010

Storia di una nottata (inutile) all'USI



Premessa: necessità di una riconfigurazione dei DB PACS della Radiologia; lo si deve fare in notturna per fermare i server in orari che possano causare poco disagio agli utenti. La storia è stata leggermente romanzata per renderla più piacevole al lettore.

Ore 11.00: esco di casa.

Ore 11.10: praticamente arrivato in ufficio, mi ricordo di aver scordato le chiavi dell'armadio con dentro il mio portatile a casa. Bestemmio velatamente.

Ore 11.11: sulla via del ritorno a casa, il tono delle bestemmie diventa un poco più accesso. In fin dei conti sono solo in macchina.

Ore 11.16: vengo accolto dal cane che abbaia come se avesse davanti a sè un incrocio fra il Diavolo, Sgarbi ed un gatto. Bestemmio.

Ore 11.17: riparto, più sereno, alla volta dell'ufficio.

Ore 11.20: arrivo in ufficio. Curioso come si siano accorciati i tempi di trasferimento in macchina, il nervosismo fa miracoli (automobilistici).

Ore 11.30: sono completamente operativo ed in attesa dell'avvio degli aggiornamenti da remoto. Il pc aziendale tiene monitorata la situazione, il mio pc personale si prepara a subire un settaggio massivo del sistema operativo Ubuntu.

Ore 11.45: mi chiama Jessica dagli Stati Uniti, mi dice che fra pochi minuti sarà pronta per partire con la configurazione del DB e dovrà fermare le macchine. Jessica, nonostante sia della Florida e abbia un nome da zoccoletta, mi dicono pesi sui 150 kg.

Ore 11.46: avverto la radiologia di non mandare più immagini al server principale, bensì a quello di backup che abbiamo approntato. La differenza per l'utente è che invece che schiacciare il bottone A deve schiacciare il bottone B.

Ore 11.47: sento le sirene di un ambulanza, urgenza in arrivo.

Ore 00.10: mi chiama la radiologia, hanno sbagliato a mandare le immagini. In fin dei conti, schiacciare il bottone B non era così facile.

Ore 00.45: riesco a recuperare le immagini, non senza aver sottilmente bestemmiato fra me e me.

Ore 01.10: arriva la guardia giurata. Non mi spara. Molto bene.

Ore 01.30: rinuncio a capire la logica dei sistemi linux nel montaggio delle partizioni e mi affido al Dio Random. Che mi premia. Il mio pc personale è a posto.

Ore 01.45: dagli Stati Uniti nessuna notizia.

Ore 01.50: mi chiama un collega della balenottera americana e mi dice che l'aggiornamento è fallito. Jessica ha riscontrato un errore in fase L2 (???) ed è tornata sui suoi passi per non sputtanare tutto. Ringrazio il collega, metto giù e bestemmio fra me e me.

Ore 01.52: Jessica mi avvisa via mail di aver fatto un buco nell'acqua e si scusa con me. La mando a fanculo fra me e me.

Ore 01.52: Mandarla a fanculo fra me e me non basta, così la mando a fanculo ad alta voce.

Ore 02.00: dopo aver verificato il funzionamento di tutti i server e l'applicativo, spengo tutto e me ne vado verso casa.

Ore 02.30: me ne vado a letto, consapevole di aver salvato delle vite aver perso del tempo.