Premessa: trattasi di una versione romanzata di avvenimenti realmente successi. I nomi dei protagonisti sono stati leggermente modificati per evitare di citare direttamente gli interessati alle vicende. Ci tengo a sottolineare che gli eventi narrati non andarono mai in maniera molto diversa da quanto ho riportato.
Il link ai capitoli precedenti di questa burla li trovate qua sotto:
1. La Nascita di Vomit
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Telone.
Sogno ed incubo di qualsiasi membro del Circolo. Gloria e dannazione per ogni appassionato di sfide impossibili.
Uno
dei giochi più longevi mai praticati, mai noioso, mai ripetitivo. Ma
soprattutto una delle più grandi assurdità inventate da noi ragazzi del
Circolo.
Per
cercare di spiegare cosa sia esattamente Telone, bisogna partire con il
descrivere il campo da gioco. Un elemento fondamentale, o meglio
l’Elemento, con la E maiuscola, necessario per una partita a telone era
(il passato è, ahimè, d’obbligo amici) il polivalente coperto del
Circolo. Avete presente quelle enormi palestre coperte, costituite da
grossi teloni verdi e bianchi tirati su di un’intelaiatura di legno e
metallo? Senza dubbio ne avrete già vista una, visto che da qualche anno
a questa parte questi prefabbricati profilerano in ogni dove.
Assomigliano parecchio ad un mezzo salame delle dimensioni dello
Zeppelin, il famoso dirigibile, ma non sembrano molto commestibili. Se
non ci credete, provate ad assaggiarne uno.
Ad
ogni modo, Telone si può considerare, alla lontana, una variante
“frizzante” del giuoco Calcio comunemente conosciuto; in realtà sarebbe
più corretto dire che Telone mantiene solo la caratteristica peculiare
di prendere a pedate un pallone, perchè per il resto non c’azzecca
proprio una sega con il popolare sport tanto amato in Italia e nel
mondo.
L’idea
alla base del Telone venne ispirata, in maniera abbastanza
roccambolesca, proprio dal polivalente stesso (chiamato anche
Palaghiaccio da alcuni, ma questa è un altra storia) che al Circolo era
veramente in una posizione infelice. Soggiornava infatti vicino al campo
da beachvolley, precisamente dietro di esso, e la palla, abilmente
manovrata durante le partite dagli eccellenti giocatori di pallavolo
della combricola, finiva dalle sessanta alle centodieci volte a set sul
telone del polivalente e qui, irrimediabilmente, si incastrava nella
larga grondaia per lo scolo di cui la struttura era fornita.
Le bestemmie volavano alte in cielo come le rondini ad ogni pallone bloccato.
Succedeva
poi che qualche buona anima (quelle alte o quelle capaci di saltare più
di un foglio di Gazzetta, quindi sempre quei tre), smoccolando un pò
per darsi la carica, si occupava del recupero, ferendosi spesso le mani
nel bordo affilato della gronda. Celebre fu la volta in cui Parmigiano,
alto e dinocolato ma poco dotato in coordinazione, dopo una rincorsa da
film drammatico anni ‘50 -quando c’è la coppietta che corre al rallenty
per abbracciarsi con passione- salto circa 1,73 cm -centimetri, ripeto- e
nel tentativo di recupero si squarciò la mano sfregandola contro il
margine seghettato.
Ma
torniamo al giorno della nascita del Telone: dopo l’ennesimo stop del
gioco, Spaccaossa -sempre composto e pacato nei modi di fare grazie ai
numerosi corsi di bonton e galateo frequentati da giovane- intraprese
una campagna militare di tipo blitzkrieg contro la malefica grondaia e
decise di tentare di abbatterla sparando con una pedata il pallone da
calcio a mò di missile Cruise terra-aria contro l’obiettivo.
Caricò,
come era solito fare, sul posto, arando il terreno ai suoi piedi, poi
partì con uno scatto da zero a cento in tre secondi netti (manco una
Lamborghini Gallardo schizza così veloce!) ed impattò la sfera di cuoio
con una forza mostruosa, alla Mark Lenders quando buca la rete alla
spalle dei portieri avversari con il Tiro della Tigre. La potenza c’era
tutta in quel tiro, era la precisione che mancava. La palla si impennò
finendo poco sopra la grondaia e si mise, frizionando sulla gomma e
generando più calore di una centrale termonucleare a regime, a scalare
il telone del polivalente; terminata l’inerzia, prese a rotolare giù per
il pendio artificiale e, urtando la gronda, balzò qualche metro in aria
prima di atterrare ai piedi di Spaccaossa.
Noi maschietti ci guardammo negli occhi, senza dire nulla, ma solo annuendo: ancora non lo sapevamo, ma era appena nato Telone.
Di
lì e poco, le geniali menti del Circolo si misero all’opera per
stilizzare un regolamento rudimentale che potesse sfruttare
l’incredibile potenziale di quello che avevamo visto grazie alla bordata
pazzesca di Spaccaossa. E così per giorni e notti, io, Gobbo, Toro
Nero, Parmigiano e Hashish elaborammo, concepimmo, e pensammo
regolamenti che non ci soddisfavano mai al cento per cento, mentre
Spaccaossa continuava a tirare legnate contro il Telone con la palla e
si divertiva con un matto. Finchè, sfruttando il suo genio cristallino,
si rivolse a noi con il fiato mozzo: “Sii propria di’interdét!” (Siete
disattenti), ci disse e poi ci spiegò la sua idea.
Si
poteva giocare in quanti si voleva ed ognuno partiva con un punteggio
(solitamente cinque) che andava a scalare ad ogni errore che veniva
“fischiato”: ciò accadeva quando la palla rimbalzava più di una volta
per terra o quando, calciando per rilanciare la palla sul Telone, si
toppava clamorosamente spedendo la palla sotto la grondaia o addosso ad
un altro giocatore. In quest’ultimo caso è vero che si perdeva un punto,
ma il bonus ad honorem “faccia di memme” veniva assegnato di diritto.
Quando un giocatore esauriva i punti a disposizione veniva eliminato e,
solitamente dopo un reset del punteggio (variante Volemose Béne), si
procedeva con la partita fino a rimanere con un giocatore solo, il
vincitore. Il campo da gioco comprendeva tutta la grondaia ed il Telone
del polivalente sovrastante in tutta la sua superficie, mentre non era
previsto un limite di profondità del campo per la zona rimbalzi.
Per questo motivo i Pusee Bòòn
(o usando il gergo gazzettiano i cosidetti “Top Player”) puntavano a
calciare secco il pallone sulla grondaia per sfruttare il rimbalzo
maligno ed augurarsi che la sfera finisse a metri e metri di distanza,
oppure schizzasse rapida al suolo, mettendo in difficoltà gli avversari.
Questo vero e proprio colpo da biliardo era chiamato “La Bastarda”.
Altra
tattica consueta nel giuoco del Telone era quella di sfruttare tutta la
superficie del polivalente calciando in diagonale il pallone da un
estremo all’altro del campo. Si faceva una finta e poi si tirava una
fiondata che costringeva l’avversario ad uno scatto da centometrista per
recuperare il pallone prima che rimbalzasse una seconda volta per
terra. Questa manovra era definita dai giornalisti sportivi
“Scavezzacollo”, mentri gli addetti ai lavori la chiamavano,
gergalmente, “La cancherada”.
Il
“Nascondino” consisteva invece in un tiro molto teso atto a portare il
pallone fino alla sommità del Telone, dove scompariva alla vista per
qualche secondo -da qui il nome-, disorientando il malcapitato del turno
successivo. Questo tiro era però un azzardo perchè se la potenza non
era ben calibrata si rischiava di scavalcare completamente il Telone
facendo rotolare la palla dalla parte opposta e quindi subendo una
penalità. Una volta un “Nascondino” magistralmente eseguito ad opera di
Gobbo, portò Toro Nero a distendersi per terra a prendere il sole, con
tanto di crema solare e Settimana Enigmistica. Nel frattempo Gobbo
rimase in piedi fissando come un segugio il Telone -con tanto di
zampetta alzata!- nonostante noi lo pregassimo gentilmente di andare a
recuperare il pallone con frasi del tipo: “Gobbo, va a fitaa el cùl, va a
too la bala cancher!”. Poichè erano trascorsi ormai parecchi minuti,
ormai convinti che la sfera fosse andata oltre il Telone e stesse per
lambire a quel punto le coste dell’Albania, lo stupore fu notevole
quando vedemmo il pallone rotolare rapido giù dal Telone e rimbalzare ai
piedi di Toro Nero. La sua reazione fu pacata: calciò con tale rabbia
da ammaccare la vicina fontanella … in ferro battuto!!!
Nel
corso degli anni, la componente sadica e feroce, o meglio la parte
autolesionista del branco assunse un ruolo sempre più rilevante ed un
conseguente inasprimento della violenza si fece strada nel gioco,
mascherato dai sorrisi untuosi ed ipocritichi dei partecipanti.
La
spensieratezza dei primi giorni di Telone fu spazzata via dalla
malizia, e così era frequente che i giocatori cercassero di servire i
palloni lungo i lati del campo da gioco dove erano distribuiti alcuni
ostacoli (facenti parte, implicitamente, del gioco).
Il
lato sinistro del campo era indubbiamente quello più insidioso visto
che presentava: primo, numerosi sassi appuntiti trascinati da eventi
metereologici o dalla bastardaggine di qualcuno in mezzo al campo dal
ghiaietto limitrofo al Telone; secondo, una depressione di una decina di
centimetri costituita da un tombino, denominata drammaticamente “La
fossa delle Marianne”, che comprometteva seriamente l’equilibrio,
soprattutto nella corsa all’indietro (divenne storico il giorno in cui
un giocatore occasionale, il cui nome s’è perso negli annali, incastrò
nel tombino il proprio alluce che dovette essere asportato per liberare
il malcapitato); infine, la vicinanza del campo da beach volley era
compromettente, con il suo effetto bunker da campo di golf.
Il
lato destro comunque non era certo migliore; un colpo preciso,
possibilmente sfruttando uno “Scavezzacollo”, poteva indirizzare la
caduta del pallone a ridosso della fontanella in ferro battuto (la
stessa ammaccata da Toro Nero) causando rimbalzi e direzioni
improbabili. Ma non era quello che importava ai giocatori di Telone.
Quello che contava veramente era vedere il sangue e quindi un piede
sopra un sasso affilatissimo, un alluce amputato o una “mignolata”
contro la fontanella era l’apice della goduria.
Il
risultato ovvio di questa escalation di violenza e sadismo fu la fine
del giuoco Telone. La dirigenza decise che era giunto il momento di
porre termine ai latrati di sofferenza che un giorno si ed uno no
arrivavano da dietro il polivalente ed a quel fastidioso rumore simile
ad un bombardamento in lontananza causato dal rimbalzare del pallone sul
telo di plastica. Fu costruito un campo da calcetto protetto da una
rete esattamente sopra il terreno di sfida di Telone che concluse così
in maniera brusca la propria gloriosa storia.
E pensare che la commissione olimpiadi stava valutando proprio in quel momento se farlo diventare disciplina olimpica ...