venerdì 9 luglio 2010

Heineken Jammin Festival 2010, 3-4 Luglio. (Parte seconda)



“VuuuuuuuUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUuuuuuuu!”

Veniamo svegliati così all’alba del secondo giorno. Il cervello connette a fatica e per un secondo penso che sia una vuvuzela – che diavolo ci faccio in Sud Africa? – salvo poi rendermi conto che l’assordante frastuono altro non era che un aereo in partenza, a poca distanza dalla nostra tenda. Dovrò farla insonorizzare, dannazione.
Ci si ripiglia a fatica da una dormita alquanto scomoda, ci facciamo una toelettatura rapida, si inghiottono due o tre gocciole per colazione e via di nuovo in marcia, questa volta automuniti, verso il Parco San Giuliano. Il consueto panico di Lukish fa si che si finisca con parcheggiare la Punto in uno dei parcheggi più distanti dal Parco, praticamente a 2 km dall’ingresso, ma evidentemente non avevo fatto i conti con le capacità sensitive del buon Trovati: il parcheggio scelto infatti ha la grandissima qualità di fornire una pavimentazione in asfalto, vantaggio che verso fine della giornata si sarebbe rivelato essere determinante rispetto ad altre locazioni “fangose.
Piazziamo dunque la macchina al sicuro e ci incamminiamo di buona lena verso l’ingresso prima dell’orario di apertura dei cancelli, speranzosi di non aver troppa folla davanti e riuscire ad accalappiare i braccialetti per accedere alla vasca durante tutto il giorno in comodità. Per chi avesse dei dubbi, con vasca non intendo uno strumento utile per l’igiene corporea, bensì un’area chiusa davanti al palco nella quale si può entrare ed uscire a piacimento avendo sempre il posto in prima fila garantito.
Arriviamo dunque ai cancelli dell’HJF e ci mettiamo pazientemente in coda (che non sembra eccessiva), chiacchierando amabilmente con dei ragazzi di Rovigno; entriamo e ci dirigiamo con solerzia verso il Main Stage per cercare di ottenere una coppia di quei dannati pass, ed è qua che affrontiamo la vera coda: quasi due ore davanti al palco sotto il sole cocente, ammassati come le bestie; i buttafuori dicono che non ci sono più bracciali ma nessuno crede ad una parola di quello che dicono visto che la vasca è mezza vuota, così stiamo lì come delle lucertole al sole, con la sola differenza che alle lucertole piace mentre noi ci stiamo letteralmente rosolando sotto un caldo peggiore di quello del giorno precedente. Ad un certo punto, impietositi, i buttafuori lanciano alcune bottigliette d’acqua alla folla spazientita per lenire la sete; a me non basta e chiedo delle angurie ma dopo che il primo lancio colpisce un ragazzo causandogli un grave trauma cranico il lancio dei cocomeri viene interrotto.
In ogni caso, la situazione non si smuove così dopo un po’ io e Lukish ci scazziamo di stare in coda per i bracciali e troviamo una nicchia discretamente vicina al palco dove mettersi e pazientare l’inizio dei concerti, attendendo l’arrivo di Grana e Sandro.
Ah già, Grana e Sandro! Me n’ero quasi scordato!
I due partono da Cremona solo per la giornata di domenica, come accennato nel precedente post. Per cui, volenterosi, scelgono la via più impervia per raggiungere Mestre: i trasporti pubblici. Vi faccio un sunto di quanto mi è stato riferito da loro:

- Partono ad un orario imprecisato da Cremona col treno diretti a Brescia;
- Cambiano e prendono il treno regionale per Venezia;
- Arrivano quasi in orario alla stazione di Mestre;
- Attendono per quasi due ore una navetta che li porti a Parco San Giuliano;
- Arrivate le navette, vengono assaltate manco la diligenza nel Far West ed in due secondi si riempiono. Presi dal panico, i due si fiondano sulla prima che trovano, senza sapere dove li porterà;
- Grana e Sandro approdano a Venezia;
- Grana si fa fotografare di fianco ad una imprecisata chiesa di Venezia:
- I due prendono un taxi e finalmente arrivano all’HJF, all’alba del’una.

Finalmente arrivati i due tasselli mancanti, i 4 giovani baldi si riuniscono e iniziano a godersi il festival.
Si fa qualche foto di rito e due passi qua e là; io e Lukish veniamo fermati da due strapone palesemente innamorate di noi che vogliono farsi immortalare con due giovani esemplari di maschio cremonese. Scopriamo poi che era per una campagna di sensibilizzazione contro la droga … truffatrici! Grana nel frattempo si trasforma in un muratore 35enne di Catanzaro in pausa pranzo, mentre sorseggia del gelato/sorbetto al caffè.
Torniamo nella nostra nicchia in attesa dell’inizio dei concerti e, quando il primo gruppo (di cui non ricordo nemmeno il nome) inizia a suonare, scatta il Vezzo Show. Mi sento debole tutto d’un tratto, non faccio in tempo a dire a Lukish “Mi gira la testa” che –bum! – finisco per terra a peso morto, svenuto! Lukish mi afferra la testa e continua ad urlare “Vezz! Vezz! Vezz!” con una frequenza di 7 “Vezz” al secondo. Io appena mi ripiglio, me ne esco con un pacifico “Eh?!”, come a dire “Che cazzo ti urli?!?”. Vengo portato via dalla Croce Rossa, efficientissima, reintegrato di sali minerali con una bella flebo di fisiologica e via, di nuovo in pista. Nel mentre però lascio i ragazzi un po’ scossi e spaventati per l’accaduto, ma soprattutto faccio avverare inavvertitamente la profezia dello sciamano-gufo del pullman: “Sverrai alle ore 3e10 della domenica pomeriggio!”. Il dannato bastardo ha imbroccato la prima delle sue profezie malefiche: beh, meglio io che svengo di quello che dovrà partorire con dolore durante i Black Eyed Peas.
Comunque, un po’ traballante ma ristabilito torno dai ragazzi mentre stanno suonando i Bastard Sons Of Dioniso, bravini e capaci di lasciarmi una buona impressione nonostante i forti pregiudizi che avevo sul loro conto. A questo punto sembra chiaro a tutti che il colpo di sole ha lasciato degli strascichi nella mia capacità di intendere e di volere e mentre mi vengono fatti test per valutare i danni al cervello arriva Fave che si unisce al gruppo. Dopo i Bastardi, è il turno dei Rise Against: super esibizione, carichi ed esplosivi come pochi (li associo ai Billy Talent per questa caratteristica), trascinano la gente per l’intera durata del concerto facendo scordare a tutti il gran caldo opprimente. Dopo di loro tocca agli Editors; uno smaronamento notevole da parte del gruppo britannico che pur mostrandosi capaci di suonare e produrre buona musica, hanno il grosso difetto di presentare pezzi troppo simili fra di loro, sfoggiando di conseguenza un'unica litania lunga un ora. Nel mentre ci raggiunge anche Casa, e si forma dunque quel bel gruppetto di persone che di lì e poco avrebbe assaporato l’ebrezza di prendersi 200mm d’acqua sulla testa per un oretta buona.
Finiscono gli Editors e mentre i 30 Seconds To Mars si preparano all’esibizione, ci rendiamo conto di una minacciosa nube che si avvicina rapidamente, come se caricasse a testa bassa verso il palco dell’HJF. Casa cerca di metterci in guardia – “Dove suonano gli Editors piove sempre” – ma ovviamente è presto per preoccuparsi, anche se nell’arco del live dei 30 Seconds, la nuvola si avvicina sempre di più ed assume sfumature mano a mano più terrificanti: prima un grigino “ti spruzzo d’acqua e ti rinfresco un po’”; poi un grigio più intenso, del tipo “becchi un po’ d’acqua stasera, ragazzo”; infine un nero modello “Morte Nera”, alias “Ma come, non hai portato con te l’arca di Noè?”. Sull’esibizione del gruppo poco da dire, onestamente: lontani dai generi che apprezzo, sono comunque bravi a cercare di tenere su di morale un pubblico sempre più depresso e conscio dell’imminente acquazzone. Assistiamo anche ad un grazioso siparietto con 3 o 4 persone che salgono su a far casino durante una canzone, fra i quali c’è anche Trè Cool (sarà l’unico membro dei Green Day visto quella sera).
Mentre viene eseguito l’ultimo pezzo dei 30 Seconds e Lukish ha assunto l'incredibile somiglianza con una Big Babol per via dell'abbronzatura, le cose si mettono male. Il vento sferza con raffiche forti, le luci sul palco ballano non poco e gli strumenti già pronti dei Green Day vengono coperti alla belle meglio. Le prime gocce, gelate, iniziano a cadere ma la cosa è sopportabile e noi, vicini al palco, non vogliamo mollare la posizione. Poi il temporale inizia a far sul serio e lì sono cazzi. Lo sciamano azzecca pure la seconda profezia.
Scatta il fuggi fuggi generale, e nel mezzo del casino, sotto l’acqua battente, ci separiamo in due gruppi (io, Casa e Sandro da una parte, Lukish, Grana e Fave dall’altra). Noi tre, dopo vari zigzag qua e là alla ricerca di un rifugio, troviamo riparo sotto un telo cerato a copertura laterale di uno stand, che di conseguenza bisogna a turno tenere alzato per starci sotto. Durante la corsa ne ho viste d’ogni: gente sotto i camion, sotto i tavoli, sotto i bidoni del rudo. Mentre siamo “al riparo” (le virgolette, vista la quantità d’acqua, sono d’obbligo), assisto a scene ancora migliori, tipo gente che si infila sotto ombrelloni chiusi e rimane in piedi incastrata lì. I più temerari cercano di raggiungere l’uscita del parco (ricordo, distante un km dall’area centrale del festival) e qui la gente si sbizzarrisce. C’è chi corre all’impazzata cercando di schivare il muro d’acqua che cade dal cielo, chi avanza sostenendo un ombrellone gigante tipo testuggine romana (saranno stati almeno in trenta sotto!), chi tenta versioni più leggere della testuggine con tavoli sostenuti da 6-8 persone e modelli ancora più lite, con 3 persone che se la viaggiano con una panca sopra la testa. Non ho visto i Green Day ma certe scene memorabili hanno lenito l’incazzatura.
Il resto della storia è cosa da poco. Raggiungiamo la macchina zuppi, mentre fuori la protezione civile distribuisce bevande calde e coperte termiche (si parla di cali di temperatura di 10-12 gradi nell’arco di due ore), e ce ne torniamo a casa un po’ mesti.
Si conclude così il secondo giorno, e lo chiudo citando Lukish per etichettare al meglio questa maledetta domenica: “Forse è il giorno più strano della mia vita”.

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