martedì 13 settembre 2011

Racconti mai dimenticati dal CRAL (1): la nascita di Vomit


Premessa: trattasi di una versione romanzata di un avvenimento realmente successo. I nomi dei protagonisti della storia sono stai leggermente modificati per evitare di citare direttamente gli interessati alla vicenda. Ci tengo a sottolineare che le cose quel giorno non andarono in maniera molto diversa da quanto ho riportato.

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Era un pomeriggio come un altro al Circolo, una di quelle giornate da cui non ti aspetti niente se non la classica afosa routine estiva. La routine al Circolo non è mai stata qualcosa di banale, intendiamoci, perché fra tutte le varie attività ricreative, e gli sfottò che ne venivano di conseguenza, risultava difficile annoiarsi; diciamo però che nessuno si sarebbe mai aspettato di assistere ad uno degli eventi più significativi di quegli anni in quel caldo e appiccicoso pomeriggio cremonese.
Eravamo come al solito nella nostra location preferita, il Polivalente. Perché lo chiamassimo così ancora adesso non lo so visto che, pur trattandosi in effetti di un campo da gioco dedicato a più discipline -calcio, basket, pallavolo e tennis-, veniva monopolizzato per tutta la durata dei mesi estivi dal nobile giuoco calcio, concedendo ai canestri da basket mobili di stare a bordo campo (esattamente dietro le porte) e abolendo istituzionalmente la possibilità di giocare a pallavolo o a tennis (per quegli sport c’erano aree meglio attrezzate dentro il Circolo). Capite bene che avremmo potuto quindi chiamarlo semplicemente campo da calcio senza fare un torto a nessuno, ma a noi piaceva definirlo così, Polivalente, forse perché gli dava una aura più prestigiosa, più interessante.
Sulla spianata di cemento colorata di rosso (dipinta così sia per una curiosa scelta di verniciatura sia per le innumerevoli sbucciature di ginocchia che ha causato nel corso degli anni) si stavano sfidando a Portine in due contro due Spaccaossa e il Gobbo contro Palla Preziosa e suo fratello.
Normalmente starei raccontando la storia di una goleada da parte dei primi due, la cui superiorità sul campo da gioco era indubbia quando si trattava di giocare a Portine, soprattutto visto che al posto dei piedi montavano due cannoni da contraerea Bofors con proiettili da 40mm con cui sparavano delle bordate pazzesche a cui solo i più temerari riuscivano a opporre una mano oppure una gamba, il più delle volte rimanendo gravemente feriti per il resto della giornata. La normalità però quel giorno era andata a farsi un giro al parco ed, in un clima reso irrequieto dai musi lunghi di Spaccaossa e Gobbo, i fratelli Palla Preziosa dominavano il match con due reti di vantaggio e con una sola realizzazione alla chiusura dell’incontro.
La coppia Spacca-Gobbo, stizzita dall’inaspettato passivo, aveva perso la concentrazione e con la mira andata a farsi benedire seguitava a sparare missili balistici contro il muro dietro la porta dove un piccolo capannello di persone cercava di farsi due tiri a basket rischiando la vita ad ogni tiro che mancava lo specchio della porta.
Fra questi, oltre all’immancabile Hashish -guru dei cestisti del Circolo-, quel giorno c’era un ragazzino moro poco più giovane di noi, forse un paio d’anni, che non conoscevamo molto perché si faceva vedere poco dalle nostre parti ma che ogni tanto veniva al Polivalente sapendo che alcuni di noi ingannavano il tempo fra una partita di calcio e l’altra con qualche tiro a canestro.
Io osservavo con la coda dell’occhio il gruppetto di cestisti seduto su una delle panche di cemento armato addossate al muro -di una scomodità disumana ma freschissime perché sempre all’ombra per tutto il pomeriggio- a ridosso di un immaginario margine di sicurezza dai bolidi che fischiavano dal campo, un margine che avevo imparato anni prima, a mie spese, e che s’era rivelato spesso esatto. Da lì potevo godermi contemporaneamente la frescura dell’ombra, i ragazzi che giocano a basket ma soprattutto potevo osservare con attenzione la sfida a Portine e perculare con fare pedante Spaccaossa e Gobbo. Scimmia, seduto fianco a me, mi dava man forte per una semplice ragione: la prossima sfida l’avremmo giocata io e lui contro i vincenti del match corrente e preferivamo di gran lunga dover affrontare i Palla Preziosa Brothers rispetto a quelle due batterie di missili terra-aria che continuavano ad ammaccare il muro dietro la porta senza mostrare il minimo segno di cedimento fisico, lisciando il pelo dei cestiti che ammiravo sempre di più per il grande coraggio. O forse era solo incoscienza.
L’obiettivo preferito degli sfottò era in particolare Gobbo perché, a differenza di Spaccaossa che aveva la risposta pronta e la lingua tagliente tanto quanto la nostra, sembrava sempre accusare maggiormente le prese in giro, innervosendosi ogni secondo di più e peggiorando di conseguenza in maniera progressiva le proprie performance: il muro cominciava infatti a mostrare delle crepe vistose ed i fratelli Palla Preziosa gongolavano certi dell’imminente vittoria.  
"Hai i piedi a banana, Gobbo!", vociò Scimmia, con quella sue vocetta un po’ stridula ed irritante che si prestava in maniera eccellente all’opera di corrosione della concentrazione altrui. Per tutta risposta Gobbo lo fissò truce senza fiatare, la palla davanti a lui, e presa una breve rincorsa, mandò il pallone a stamparsi contro il palo, che vibrò energicamente per qualche secondo. Gobbo si limitò a reagire a quell’episodio di sfortuna con un ringhio sommesso.
"Per segnare devi buttarla dentro i pali, non SUI pali", urlai strafottente io per appesantire il carico.
Nel mentre i cestisti continuavano a fare tiri a casaccio per passare il tempo, quand’ecco ad un certo punto il ragazzino moro tentare un improbabile tiro da tre punti da distanza siderale. Il tiro, non esattamente un fiore della tecnica cestistica, si stampò clamorosamente sul ferro ed il pallone rimbalzò mestamente nel campo da calcio finendo nella metà campo di Spacca e Gobbo, il quale con un altro ringhio sommesso afferrò il pallone con le mani e lo riconsegnò ai giocatori di basket. Credo che mancasse poco al vedere del fumo uscire dalle orecchie di Gobbo.
Quel tiro sfortunato era perfetto in quel momento, un’ulteriore occasione per innervosire la coppia in svantaggio. Ed il destino decise che aveva voglia di scherzare con questa cosa perché pochi secondi dopo la palla da basket ruzzolò nuovamente nel campo da calcio. Ancora Gobbo prese il pallone ed in malo modo lo lanciò ai giocatori di basket sbraitandogli contro un "La mocum?".
Purtroppo il ragazzino moro, non avvezzo agli stereotipi comportamentali della nostra compagnia, non prese seriamente l’avvertimento; chiunque altro a quel punto si sarebbe accorto che era ora di piantarla, Gobbo era più furente di un toro ad una corrida ed in maniera analoga non aspettava altro che un pretesto per attaccare. Pretesto che arrivò poco dopo.
Il ragazzino tentò ancora la tripla, con il pallone che si stampò nuovamente sul ferro e rovinò sul terreno di gioco. Temerario, o forse più semplicemente stupido, il ragazzo azzardò anche un "Palla!" per richiamare l’attenzione di Gobbo. Gesto superfluo.
Gobbo stava già caricando il tiro assumendo una posizione che ricordava incredibilmente tanto quella di Mark Lenders quando esibiva il Tiro della Tigre: busto sporto in avanti al limite dell’equilibrio, baricentro sbilanciato e gamba destra sollevata dietro la schiena per imprimere più forza possibile al pallone.
Vedendolo pensai: “Non può volerlo fare veramente”.
Ed invece lo fece.
Impattò la palla da basket che avanza rimbalzando verso di lui al volo, trasmettendo ancora più forza al tiro. Ne risultò una sassata pazzesca, ai limite dell’umana percezione, un tiro che probabilmente avrebbe fatto impallidire anche Roberto Carlos. Una mina che si diresse con una traiettoria perfettamente diritta esattamente contro lo stomaco del ragazzino moro, il quale inizialmente rimase completamente senza fiato per almeno dieci secondi; poi la pelle del suo viso cominciò ad assumere un colorito strano, sul verdognolo, mentre lui barcollava stordito dalla botta pazzesca appena presa.
Pensai nuovamente la stessa frase di pochi secondi prima: “Non può volerlo fare veramente”.
Ed invece, pure lui, lo fece.
In un silenzio agghiacciante vomitò l’anima sul Polivalente del Circolo.
Nacque così per lui, appositamente creato quel giorno, il soprannome di Vomit, soprannome che tuttora si porta appresso a sua insaputa. Quel giorno Gobbo, inconsapevolmente, creò un mito destinato a durare degli anni e contemporaneamente condannato a finire nell’immenso calderone di cazzate che combinammo in quegli anni, risultando quasi anonimo se paragonato con il resto delle esperienze fantasmagoriche del Circolo. Del Circolo Ricreativo Adolescenti Lesi.

giovedì 8 settembre 2011

Hospital's life


Non posso negare riflettendo a mente fredda che l'esperienza ospedaliera della settimane passate sia comunque, in ogni caso, un esperienza. Non dico bella, assolutamente, perchè le belle esperienze sono altre -che ne so, picchiare Borghezio a morte per strada o ritrovare due euri nel cappotto dimenticati dall'inverno precedente- ma comunque s'è trattato di una cosa nuova per me e mi sembra giusta riportarla sul blog. Ma c'è un problema di fondo nello scrivere questo intervento, un problema molto molto stupido. Ho preso un impegno con il Ghido per testare la sua abilità di medico (o forse dovrei dire la sua ciarlataneria) e quindi siamo rimasti d'accordo che la prima volta che ci vedremo io gli esporrò i sintomi ed il risultato dei principali accertamenti che ho eseguito e lui dovrà indovinare la diagnosi. Mi sento di aiutarlo e gli rivelo in questa sede che non si tratta di Lupus; così facendo rendo implictamente vana la visione di tutte le stagioni del dottor House che s'è sparato in vita sua. Tiè! Tornando all'argomento principale del blog, l'esperienza ospedaliera, mi sento di tradurla in forma di Top Five presentando la classifica con lo stesso entusiasmo di un Daniele Bossari di una volta ma con meno faccia di culo (il che non è per niente difficile). Pensate voi a piazzarvi Whole Lotta Love dei Led Zeppelin come sottofondo musicale, per rendere più piacevole la lettura.

5° posto - Il primo compagno di sventure e di camera, Ernestino. Praticamente paralizzato, poveraccio, ma dotato ancora di una verve frizzante e di uno spirito da rompicoglioni professionista. Con il mangiare non andava bene niente perchè Ernestino voleva solo la pastasciutta, sottolineando OGNI fottuto giorno che lui mangia pasta da 40 anni. Pranzo e cena, per 4 giorni me l'ha ricordato, manco fossi arterio-sclerotico. Aveva l'innata capacità di addormentarsi continuamente nonostante foste svegliato ogni 10 minuti da qualcuno: una volta il medico, l'altra volta l'infermiera, l'altra volta ancora il fisioterapista, poi la moglie, via il fratello, eccetera eccetera. Ma lui niente, 20 secondi dopo essere stato svegliato ed aver risposto bruscamente alle domande, tac! ripiombava nel sonno. Il suo spirito mordace non è stato leso nemmeno quando gli infermieri, al terzo giorno di stitichezza, gli hanno infilato una peretta su per il culo senza troppi complimenti. Eroico rompicoglioni.

4° posto - Le sveglie dei primi cinque giorni alle 5 del mattino. Sei li che ti stai godendo un minimo di sonno disturbato dalla luce in corridoio e dal sommesso russare di Ernestino che nonostante i tappi ti penetra le orecchie quando ecco che uno trittico di infermieri entra al passo di marcia stile SS accendendo le luci della stanza per verificare che il tuo vicino di stanza non si sia bagnato durante la notte. Per quattro notti l'eroico Ernestino non s'è mai bagnato, la quinta notte lo squadrone SS è entrato in pompa magna scordandosi che il paziente era già stato dimesso. Svegli e attenti.

3° posto - Il purè dell'ospedale. Il nemico lo conoscevo già perchè è lo stesso che servono nella mensa dei dipendenti, e avrei dato un occhio per poterlo evitare ma purtroppo i primi due giorni, non potendo scegliere ancora in menù, m'è toccato sorbirmelo. Viene presentato come una gigantesca pallina gelato, con la consistenza del cemento armato appena seccato. Ho visto un signore infilarci dentro la forchetta e lanciarlo a mò di catapulta per il corridoio: ha ucciso un infermiere e ferito gravemente due inservienti. Novelle cousine.

2° posto - Ti sei appena addormentato, godendoti il lusso di una singola visto che Ernestino è stato dimesso il giorno precedente. Mentalmente assapori la possibilità di riuscire a dormire ininterrottamente per un buon numero di ore, fino alla sveglia delle sei e mezza con misura della pressione annessa. Sei quasi felice in quel momento, perchè sei un inguaribile ottimista, ma sei anche un fottuto illuso. A mezzanotte vengo svegliato perchè c'è bisogno della stanza, è appena arrivata una signora dal pronto soccorso ed i posti letto donna sono finiti. Vengo spostato, ancora mezzo rintontito, in camera con un signore che non russa, emette piuttosto un suono simile a quello di un treno merci che percorre dei binari arruginiti e poco saldati a terra. I tappi per le orecchie sono completamente inutili e la nuova stanza è così piccola che praticamente dormo abbracciato a questo tizio, che s'è preso pure la premura di dormire girato di lato verso di me per offrirmi un acustica migliore. Resisto, cerco di addormentarmi ma niente, ed allora inizio con dei versi tipo cicale (Garo docet) per farlo smettere ma non funziona. Dopo un ora, esasperato arrivo ad applaudirgli a due centimetri dal naso ma lui zero, continua imperterrito il suo viaggio col suo bel treno merci. Alle due un infermiere che passa di li e mi vede con gli occhi sbarrati ed un inedito tic nervoso all'angolo della palpebra mi dice che se voglio posso andare a dormire nella stanza del Day Hospital. Quasi lo abbraccio da tanto sono commosso. Ah, il giorno successivo ho scoperto che il signore era sordo. Forse solo in quel modo riusciva a non svegliarsi sentendosi russare. Treno merci.

1° posto - La simpaticissima signora Curiosona. Il nome non l'ho mai imparato, forse perchè fin dall'inizio non m'è stata molto in grazia. Fatto sta che per ben 9 giorni questa gentilissima signora s'è affacciata alla porta di camera mia, per sapere come stavo, se mi avevano fatto gli esami, quando mi dimettevano, il mio numero di carta di credito, gli anni della mia ragazza, il nome del ragazzino con cui m'ero attaccato alle elementari e quant'altro. E nulla poteva fermarla se entrava nella stanza, nemmeno il fatto che stessi guardando un film o ascoltando della musica con gli auricolari; addirittura una volta è arrivata a svegliarmi per assillarmi con le sue domande. Era più fastidiosa di un gatto attaccato ai testicoli e soprattutto secondo me menava più gramo di Filini nell'epopea di Fantozzi. Curiosona è uscita il giorno prima di me, ed è stata una lunga degenza soprattutto per merito suo. Amabilmente scassapalle.