martedì 18 ottobre 2011

Racconti mai dimenticati dal CRAL (2): Palla Preziosa

Premessa: trattasi di una versione romanzata di avvenimenti realmente successi. I nomi dei protagonisti sono stati leggermente modificati per evitare di citare direttamente gli interessati alle vicende. Ci tengo a sottolineare che gli eventi narrati non andarono mai in maniera molto diversa da quanto ho riportato.

Il link alla prima parte lo trovate qua sotto:
1. La Nascita di Vomit

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Al Circolo, Vomit non era certo una delle personalità più rilevanti. Certo, era salito agli onori della cronaca con un colpo da maestro, un gesto paragonabile al segnare il gol del vantaggio in rovesciata al 93esimo o al riuscire a seguire una puntata di Unomattina condotta da Luca Giurato senza scoppiare a ridere; ma non era sufficiente una fiammata imperiosa per diventare una celebrità al Circolo, ci voleva regolarità e costanza per rimanere nel cuore della gente.
L’incarnazione perfetta di questa filosofia fu senza ombra di dubbio Palla Preziosa.
Il nome, come facilmente intuibile, derivava dall’incredibile attaccamento di questo personaggio verso il suo personale pallone da calcetto, che si portava tutti i giorni appresso assieme al fratello minore (e non viceversa, si badi bene!), che per comodità di narrazione verrà chiamato Palla Preziosa Junior.
La palla in questione, oltre ad essere, come già detto, da calcetto e quindi leggermente più piccola rispetto agli standard, aveva la particolarità di essere gonfiata -quotidianamente ipotizzavamo noi maligni- alla pressione di 800 atmosfere. In simili condizioni estreme, ne risultava una piccola sfera dura come un diamante e con una massa pari a quella di Plutone, tanto che facendo la classica prova del rimbalzo degli arbitri di basket -lasciar cadere la palla tenendo il braccio sollevato sopra la testa- questa precipitava al suolo rimbalzando sul cemento del Polivalente con un rumore secco e sordo (come se qualcuno avesse tirato una martellata al pavimento) crepando il pavimento, e si risollevava da terra al massimo di una decina di centimetri: praticamente aveva la stessa elasticità di un mattone di terracotta!
Pur essendo una palla di merda, Palla Preziosa ne era geloso come se fosse un figlio ed non passava giornata al Circolo senza che lui e suo fratello non facessero una sfida a Portine sul terreno di gioco rosso sangue sbiadito con quella sfera di cemento armato. Li potevi trovare su quel campo a lanciarsi staffilate del peso di 20 kg ad ogni ora del giorno; a volte li trovavamo già intenti a giocare prima dell’una del pomeriggio, sotto un sole che avrebbe potuto sciogliere un sasso. Erano inverosimili, anche per i nostri standard di stupidità estrema.
Ma le sfumature leggendarie del mito di questa palla non si limitavano certo a questo: l’aspetto veramente incredibile è che passavano gli anni ma quella cosa continua a resistere contro ogni sventura, mentre noi consumavamo palloni con lo stesso ritmo con cui Galeazzi assume calorie.
Va detto, a nostra difesa, che era davvero difficile fare della prevenzione efficiente contro le due principali cause di decesso dei nostri supporti allo svago, ossia l’usura e lo smarrimento. La prima era quasi inevitabile poiché le condizioni di gioco erano proibitive per qualunque pallone: un fondale abrasivo che graffiava anche il cuoio più resistente e le cannonate che alcuni di noi sparavano non erano esattamente un toccasana per le nostre palle da calcio. Riguardo al secondo problema invece, lo smarrimento, interveniva prepotentemente il fattore di degrado del Polivalente. Esso era infatti coperto sui due lati più vulnerabili da reti alte una quindicina di metri, e quindi palesemente insufficienti per i cosiddetti “tiri a banana” che spesso se ne uscivano dai piedi dei ragazzi del Circolo (anche dai migliori, sia chiaro); oltre a ciò, le reti erano piene di buchi e fessurazioni causate dal tempo, tanto da far sembrare quelle protezioni simili a delle calze da prostituta piene di smagliature. Fatto sta che vuoi le protezioni inadeguate, vuoi delle abilità calcistiche medie non proprio comparabili con quelle di Messi, i palloni spesso finivano in strada, disperse nei fossi o peggio ancora dai “Matti” (un area dismessa a fianco del Polivalente, estremamente perigliosa da raggiungere, che descriverò meglio in seguito) e noi dovevamo continuamente procacciarci palle nuove.
La vita media di una sfera di cuoio era al massimo di quindici giorni. La “Palla Preziosa” è durata per almeno sette anni. Inverosimile, come i proprietari.
Il motivo di una così notevole longevità comunque era molto semplice: Palla Preziosa teneva in modo ossessivo, oserei dire maniacale, alla propria palla. Ricordo che era praticamente impossibile utilizzarla nella partite a calcetto, perché il proprietario lo proibiva con fermezza. Non che a noi piacesse molto dover calciare un sampietrino del diametro di una spanna circa, ma a volte fra una dipartita di un pallone e il successivo “ritrovamento” di un altro intercorreva un lasso di uno - due giorni in cui rimanevamo a piedi ed allora Palla Preziosa tornava utile. Ma convincerlo era una faticaccia terribile, manco dovessimo tentare di far capire ad Alberto Tomba il Teorema di De L'Hopital.
La cosa però non mancava di darci maligne soddisfazioni, naturalmente.
Ricordo ancora la prima volta che convincemmo Palla Preziosa a prestarci la sua amata per una partita di calcetto; eravamo in dispari con il proprietario del pallone per cui coinvolgemmo anche suo fratello nonostante fosse più giovane di noi. Era comunque dell’età di Scimmietta più o meno, per cui non rappresentava un grosso problema; semplicemente non gliel’avremmo mai passata. Malauguratamente per lui però, in una fase di gioco convulsa proprio davanti all’area della squadra in cui militavano i due fratelli, per spazzare e liberare la difesa, il minore tirò una ciabattata con una coordinazione degna di Jury Chechi -si, ma ubriaco- che fece impennare la sfera in alto con una traiettoria a perfetta campana, che si concluse inevitabilmente al di là della rete che divideva il Polivalente dai “Matti”, per un perfetto scherzo del destino.
Palla Preziosa Junior divenne una maschera di gesso, immobile, terrorizzato, mentre tutti noi, girati verso il fratello, vedemmo l’occhio di Palla Preziosa Senior dilatarsi e riempirsi di panico puro, una paura nera e torbida come il petrolio. Il tempo di sbraitare un “Ale! Sa ghet fat?!” e il proprietario della sfera di cuoio dispersa schizzò verso l’uscita del Circolo correndo come un bufalo (ebbene sì, non era propriamente un fuscello) per recuperare la sua amata, lasciando sul posto una nuvoletta di polvere in pieno stile Looney Toons. Mai visto un ragazzo impanicarsi tanto per una palla da recuperare; solitamente c’era da litigare per scegliere chi doveva incaricarsi del tentativo di recupero.
Ma non era solo il magico pallone a caratterizzare Palla Preziosa, perché poco dopo averlo mitizzato per il suo morboso attaccamento, ci sfoggiò un’altra perla che finì col consacrarlo come uno dei personaggi più caratteristici del Circolo, amato e benvoluto, e nonostante ciò perculato.
Una giornata come un’altra, con i ragazzi intenti a sfidarsi nel solito match di calcetto sotto il sole africano delle tre; la partita era combattuta -come quasi sempre d’altronde- e persino Palla Preziosa ci metteva del suo con impegno, nonostante un abilità calcistica non proprio degna di nota. La divisa era quasi fantozziana da tanto era ricercata: boxer da bagno “ascellari” (impossibile trovare un aggettivo migliore di quello inventato da Villaggio), canottiera in tessuto sintetico nonostante i 50° C e occhiali da vista calcati sul naso, rischiosissimo visto il modo rude di giocare che caratterizzava ogni sfida sul Polivalente.
Ad un certo punto qualcuno della squadra avversaria -non ricordo esattamente chi, forse Toro Nero- cercò il Jolly con una bordata verso la porta calciata appena oltre la metà campo ma il tiro sfortunatamente andò a schiantarsi contro il viso di Palla Preziosa, mandando letteralmente in mille pezzi gli occhiali da vista e facendo crollare al suolo lungo disteso il malcapitato. I più caritatevoli si precipitarono a rialzarlo mentre lui rintontito scuoteva la testa per riprendersi dalla botta pazzesca, i più bastardi invece sghignazzavano come iene per l’ilarità della scena cui avevano appena assistito. I più rimanevano perplessi invece dagli occhiali che, vero che il tiro era potente, si erano sbriciolati con un po’ troppa facilità. Ovviamente i maligni ridevano anche di questo.
Ma le sorprese non erano finite. Palla Preziosa, sollevatosi a fatica da terra, iniziò a perlustrare il campo da gioco per raccattare tutti i pezzi e, dopo averli ritrovati tutti, con un gesto fulmineo delle mani, quasi come il gesticolare di un mago per distrarre il pubblico mentre sfila la carta dalla manica, rimontò gli occhiali che tornarono in men che non si dica nuovi, come se nulla fosse accaduto.
Rimanemmo tutti a bocca aperta, a “catà le musche” per dirla in dialetto, e quei magici prodigi furono chiamati da allora gli Occhiali dell’Ispettore Gadget.


Una raffigurazione teorica della preziosissima palla


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