Il link alla prima parte lo trovate qua sotto:
1. La Nascita di Vomit
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Al
Circolo, Vomit non era certo una delle personalità più rilevanti. Certo, era
salito agli onori della cronaca con un colpo da maestro, un gesto paragonabile
al segnare il gol del vantaggio in rovesciata al 93esimo o al riuscire a
seguire una puntata di Unomattina condotta da Luca Giurato senza scoppiare a
ridere; ma non era sufficiente una fiammata imperiosa per diventare una
celebrità al Circolo, ci voleva regolarità e costanza per rimanere nel cuore
della gente.
L’incarnazione
perfetta di questa filosofia fu senza ombra di dubbio Palla Preziosa.
Il nome,
come facilmente intuibile, derivava dall’incredibile attaccamento di questo
personaggio verso il suo personale pallone da calcetto, che si portava tutti i
giorni appresso assieme al fratello minore (e non viceversa, si badi bene!),
che per comodità di narrazione verrà chiamato Palla Preziosa Junior.
La palla
in questione, oltre ad essere, come già detto, da calcetto e quindi leggermente
più piccola rispetto agli standard, aveva la particolarità di essere gonfiata
-quotidianamente ipotizzavamo noi maligni- alla pressione di 800 atmosfere. In
simili condizioni estreme, ne risultava una piccola sfera dura come un diamante
e con una massa pari a quella di Plutone, tanto che facendo la classica prova
del rimbalzo degli arbitri di basket -lasciar cadere la palla tenendo il
braccio sollevato sopra la testa- questa precipitava al suolo rimbalzando sul
cemento del Polivalente con un rumore secco e sordo (come se qualcuno avesse
tirato una martellata al pavimento) crepando il pavimento, e si risollevava da
terra al massimo di una decina di centimetri: praticamente aveva la stessa
elasticità di un mattone di terracotta!
Pur
essendo una palla di merda, Palla Preziosa ne era geloso come se fosse
un figlio ed non passava giornata al Circolo senza che lui e suo fratello non
facessero una sfida a Portine sul terreno di gioco rosso sangue sbiadito con
quella sfera di cemento armato. Li potevi trovare su quel campo a lanciarsi staffilate
del peso di 20 kg ad ogni ora del giorno; a volte li trovavamo già intenti a
giocare prima dell’una del pomeriggio, sotto un sole che avrebbe potuto
sciogliere un sasso. Erano inverosimili, anche per i nostri standard di
stupidità estrema.
Ma le sfumature
leggendarie del mito di questa palla non si limitavano certo a questo:
l’aspetto veramente incredibile è che passavano gli anni ma quella cosa
continua a resistere contro ogni sventura, mentre noi consumavamo palloni con
lo stesso ritmo con cui Galeazzi assume calorie.
Va detto,
a nostra difesa, che era davvero difficile fare della prevenzione efficiente
contro le due principali cause di decesso dei nostri supporti allo svago, ossia
l’usura e lo smarrimento. La prima era quasi inevitabile poiché le condizioni
di gioco erano proibitive per qualunque pallone: un fondale abrasivo che
graffiava anche il cuoio più resistente e le cannonate che alcuni di noi
sparavano non erano esattamente un toccasana per le nostre palle da calcio.
Riguardo al secondo problema invece, lo smarrimento, interveniva
prepotentemente il fattore di degrado del Polivalente. Esso era infatti coperto
sui due lati più vulnerabili da reti alte una quindicina di metri, e quindi
palesemente insufficienti per i cosiddetti “tiri a banana” che spesso se ne
uscivano dai piedi dei ragazzi del Circolo (anche dai migliori, sia chiaro);
oltre a ciò, le reti erano piene di buchi e fessurazioni causate dal tempo,
tanto da far sembrare quelle protezioni simili a delle calze da prostituta
piene di smagliature. Fatto sta che vuoi le protezioni inadeguate, vuoi delle
abilità calcistiche medie non proprio comparabili con quelle di Messi, i
palloni spesso finivano in strada, disperse nei fossi o peggio ancora dai
“Matti” (un area dismessa a fianco del Polivalente, estremamente perigliosa da
raggiungere, che descriverò meglio in seguito) e noi dovevamo continuamente
procacciarci palle nuove.
La vita
media di una sfera di cuoio era al massimo di quindici giorni. La “Palla
Preziosa” è durata per almeno sette anni. Inverosimile, come i proprietari.
Il motivo
di una così notevole longevità comunque era molto semplice: Palla Preziosa
teneva in modo ossessivo, oserei dire maniacale, alla propria palla. Ricordo
che era praticamente impossibile utilizzarla nella partite a calcetto, perché
il proprietario lo proibiva con fermezza. Non che a noi piacesse molto dover
calciare un sampietrino del diametro di una spanna circa, ma a volte fra una
dipartita di un pallone e il successivo “ritrovamento” di un altro intercorreva
un lasso di uno - due giorni in cui rimanevamo a piedi ed allora Palla Preziosa
tornava utile. Ma convincerlo era una faticaccia terribile, manco dovessimo
tentare di far capire ad Alberto Tomba il Teorema di De L'Hopital.
La cosa
però non mancava di darci maligne soddisfazioni, naturalmente.
Ricordo
ancora la prima volta che convincemmo Palla Preziosa a prestarci la sua amata
per una partita di calcetto; eravamo in dispari con il proprietario del pallone
per cui coinvolgemmo anche suo fratello nonostante fosse più giovane di noi.
Era comunque dell’età di Scimmietta più o meno, per cui non rappresentava un
grosso problema; semplicemente non gliel’avremmo mai passata. Malauguratamente
per lui però, in una fase di gioco convulsa proprio davanti all’area della squadra in cui
militavano i due fratelli, per spazzare e liberare la difesa, il minore tirò una
ciabattata con una coordinazione degna di Jury Chechi -si, ma ubriaco- che fece
impennare la sfera in alto con una traiettoria a perfetta campana, che si
concluse inevitabilmente al di là della rete che divideva il Polivalente dai
“Matti”, per un perfetto scherzo del destino.
Palla
Preziosa Junior divenne una maschera di gesso, immobile, terrorizzato, mentre
tutti noi, girati verso il fratello, vedemmo l’occhio di Palla Preziosa Senior
dilatarsi e riempirsi di panico puro, una paura nera e torbida come il
petrolio. Il tempo di sbraitare un “Ale! Sa ghet fat?!” e il proprietario della sfera di cuoio dispersa schizzò verso
l’uscita del Circolo correndo come un bufalo (ebbene sì, non era propriamente
un fuscello) per recuperare la sua amata, lasciando sul posto una nuvoletta di
polvere in pieno stile Looney Toons. Mai visto un ragazzo impanicarsi tanto per
una palla da recuperare; solitamente c’era da litigare per scegliere chi doveva
incaricarsi del tentativo di recupero.
Ma non
era solo il magico pallone a caratterizzare Palla Preziosa, perché poco dopo
averlo mitizzato per il suo morboso attaccamento, ci sfoggiò un’altra perla che
finì col consacrarlo come uno dei personaggi più caratteristici del Circolo,
amato e benvoluto, e nonostante ciò perculato.
Una
giornata come un’altra, con i ragazzi intenti a sfidarsi nel solito match di
calcetto sotto il sole africano delle tre; la partita era combattuta -come
quasi sempre d’altronde- e persino Palla Preziosa ci metteva del suo con
impegno, nonostante un abilità calcistica non proprio degna di nota. La divisa
era quasi fantozziana da tanto era ricercata: boxer da bagno “ascellari”
(impossibile trovare un aggettivo migliore di quello inventato da Villaggio),
canottiera in tessuto sintetico nonostante i 50° C e occhiali da vista calcati
sul naso, rischiosissimo visto il modo rude di giocare che caratterizzava ogni
sfida sul Polivalente.
Ad un
certo punto qualcuno della squadra avversaria -non ricordo esattamente chi,
forse Toro Nero- cercò il Jolly con una bordata verso la porta calciata appena
oltre la metà campo ma il tiro sfortunatamente andò a schiantarsi contro il
viso di Palla Preziosa, mandando letteralmente in mille pezzi gli occhiali da
vista e facendo crollare al suolo lungo disteso il malcapitato. I più
caritatevoli si precipitarono a rialzarlo mentre lui rintontito scuoteva la
testa per riprendersi dalla botta pazzesca, i più bastardi invece sghignazzavano come iene per l’ilarità
della scena cui avevano appena assistito. I più rimanevano perplessi invece
dagli occhiali che, vero che il tiro era potente, si erano sbriciolati con un po’
troppa facilità. Ovviamente i maligni ridevano anche di questo.
Ma le
sorprese non erano finite. Palla Preziosa, sollevatosi a fatica da terra,
iniziò a perlustrare il campo da gioco per raccattare tutti i pezzi e, dopo
averli ritrovati tutti, con un gesto fulmineo delle mani, quasi come il gesticolare di un mago per distrarre il pubblico mentre sfila la carta dalla manica, rimontò gli occhiali
che tornarono in men che non si dica nuovi, come se nulla fosse accaduto.
Rimanemmo
tutti a bocca aperta, a “catà le musche” per dirla in dialetto, e quei magici
prodigi furono chiamati da allora gli Occhiali dell’Ispettore Gadget.
Una raffigurazione teorica della preziosissima palla
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