Premessa: trattasi di una versione romanzata di un avvenimento realmente successo. I nomi dei protagonisti della storia sono stai leggermente modificati per evitare di citare direttamente gli interessati alla vicenda. Ci tengo a sottolineare che le cose quel giorno non andarono in maniera molto diversa da quanto ho riportato.
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Era un pomeriggio come un altro al Circolo, una di quelle giornate da cui non ti aspetti niente se non la classica afosa routine estiva. La routine al Circolo non è mai stata qualcosa di banale, intendiamoci, perché fra tutte le varie attività ricreative, e gli sfottò che ne venivano di conseguenza, risultava difficile annoiarsi; diciamo però che nessuno si sarebbe mai aspettato di assistere ad uno degli eventi più significativi di quegli anni in quel caldo e appiccicoso pomeriggio cremonese.
Eravamo come al solito nella nostra location preferita, il Polivalente. Perché lo chiamassimo così ancora adesso non lo so visto che, pur trattandosi in effetti di un campo da gioco dedicato a più discipline -calcio, basket, pallavolo e tennis-, veniva monopolizzato per tutta la durata dei mesi estivi dal nobile giuoco calcio, concedendo ai canestri da basket mobili di stare a bordo campo (esattamente dietro le porte) e abolendo istituzionalmente la possibilità di giocare a pallavolo o a tennis (per quegli sport c’erano aree meglio attrezzate dentro il Circolo). Capite bene che avremmo potuto quindi chiamarlo semplicemente campo da calcio senza fare un torto a nessuno, ma a noi piaceva definirlo così, Polivalente, forse perché gli dava una aura più prestigiosa, più interessante.
Sulla spianata di cemento colorata di rosso (dipinta così sia per una curiosa scelta di verniciatura sia per le innumerevoli sbucciature di ginocchia che ha causato nel corso degli anni) si stavano sfidando a Portine in due contro due Spaccaossa e il Gobbo contro Palla Preziosa e suo fratello.
Normalmente starei raccontando la storia di una goleada da parte dei primi due, la cui superiorità sul campo da gioco era indubbia quando si trattava di giocare a Portine, soprattutto visto che al posto dei piedi montavano due cannoni da contraerea Bofors con proiettili da 40mm con cui sparavano delle bordate pazzesche a cui solo i più temerari riuscivano a opporre una mano oppure una gamba, il più delle volte rimanendo gravemente feriti per il resto della giornata. La normalità però quel giorno era andata a farsi un giro al parco ed, in un clima reso irrequieto dai musi lunghi di Spaccaossa e Gobbo, i fratelli Palla Preziosa dominavano il match con due reti di vantaggio e con una sola realizzazione alla chiusura dell’incontro.
La coppia Spacca-Gobbo, stizzita dall’inaspettato passivo, aveva perso la concentrazione e con la mira andata a farsi benedire seguitava a sparare missili balistici contro il muro dietro la porta dove un piccolo capannello di persone cercava di farsi due tiri a basket rischiando la vita ad ogni tiro che mancava lo specchio della porta.
Fra questi, oltre all’immancabile Hashish -guru dei cestisti del Circolo-, quel giorno c’era un ragazzino moro poco più giovane di noi, forse un paio d’anni, che non conoscevamo molto perché si faceva vedere poco dalle nostre parti ma che ogni tanto veniva al Polivalente sapendo che alcuni di noi ingannavano il tempo fra una partita di calcio e l’altra con qualche tiro a canestro.
Io osservavo con la coda dell’occhio il gruppetto di cestisti seduto su una delle panche di cemento armato addossate al muro -di una scomodità disumana ma freschissime perché sempre all’ombra per tutto il pomeriggio- a ridosso di un immaginario margine di sicurezza dai bolidi che fischiavano dal campo, un margine che avevo imparato anni prima, a mie spese, e che s’era rivelato spesso esatto. Da lì potevo godermi contemporaneamente la frescura dell’ombra, i ragazzi che giocano a basket ma soprattutto potevo osservare con attenzione la sfida a Portine e perculare con fare pedante Spaccaossa e Gobbo. Scimmia, seduto fianco a me, mi dava man forte per una semplice ragione: la prossima sfida l’avremmo giocata io e lui contro i vincenti del match corrente e preferivamo di gran lunga dover affrontare i Palla Preziosa Brothers rispetto a quelle due batterie di missili terra-aria che continuavano ad ammaccare il muro dietro la porta senza mostrare il minimo segno di cedimento fisico, lisciando il pelo dei cestiti che ammiravo sempre di più per il grande coraggio. O forse era solo incoscienza.
L’obiettivo preferito degli sfottò era in particolare Gobbo perché, a differenza di Spaccaossa che aveva la risposta pronta e la lingua tagliente tanto quanto la nostra, sembrava sempre accusare maggiormente le prese in giro, innervosendosi ogni secondo di più e peggiorando di conseguenza in maniera progressiva le proprie performance: il muro cominciava infatti a mostrare delle crepe vistose ed i fratelli Palla Preziosa gongolavano certi dell’imminente vittoria.
"Hai i piedi a banana, Gobbo!", vociò Scimmia, con quella sue vocetta un po’ stridula ed irritante che si prestava in maniera eccellente all’opera di corrosione della concentrazione altrui. Per tutta risposta Gobbo lo fissò truce senza fiatare, la palla davanti a lui, e presa una breve rincorsa, mandò il pallone a stamparsi contro il palo, che vibrò energicamente per qualche secondo. Gobbo si limitò a reagire a quell’episodio di sfortuna con un ringhio sommesso.
"Per segnare devi buttarla dentro i pali, non SUI pali", urlai strafottente io per appesantire il carico.
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